lunedì 29 ottobre 2012

I volti sono lingue senza alfabeto..


Leonardo da Vinci, La Gioconda




I volti sono ricordi che deridono il passato
i volti sono una pozione chimica nella quale circolano le domande
i volti sono lingue senza alfabeto
i volti sono lettere che restano chiuse.


(da Il velo dei volti, in Non ho peccato abbastanza, 
della poetessa irachena Amal al-Juburi)






Si parla di Volto: nella sua duplice valenza di soggetto e oggetto di sguardi (nel suo duplice aspetto di Vultus, cioè lato visibile, e Visus, cioè capacità di vedere, sguardo). Il volto è la frontiera tra ciò che sentiamo "dentro", tra la nostra interiorità, e l'esterno; a volte nasconde i nostri veri pensieri a chi ci osserva, rendendoli enigmatici e incomprensibili al suo sguardo, a volte invece li esprime con forza, e a volte persino li tradisce.

.."I volti sono lingue senza alfabeto"..

Nessuno ci insegna a leggere il volto altrui, eppure è una dote innata: certo, più o meno accentuata e sensibile, ma appartiene a ciascuno.

Messerschmidt Franz Xaver, scultore austriaco settecentesco, lavorò a una serie di "teste di carattere" (charakterköpfe). Si tratta di quarantanove sculture di teste maschili, tutte raffiguranti un uomo pelato di mezza età, nelle più svariate smorfie.
Prendiamo per esempio due di queste opere.

 




Credo sia abbastanza automatico comprendere quale delle due teste rappresenti un uomo di cattivo umore.
Tuttavia questi busti, seppur efficaci per comprendere l'innata capacità di lettura delle espressioni facciali, non possono rendere l'unicità dell'aspetto di ciascun volto. L’impostazione rigorosamente frontale e con le due parti del volto sempre estremamente simmetriche (anche nei dettagli più minuziosi), creano un effetto di stilizzazione che raffredda in modo straniante la vitalità della tensione espressiva. L’apparente paradosso di questa serie è infatti la compresenza di un esasperato iperrealismo e di una inquietante de-soggettivazione, il contrasto tra un’attenta mimesi dei tratti somatici e la mancanza di quella espressività che caratterizza l’unicità di una fisionomia.

Nella realtà invece, a volte i visi mantengono qualcosa di arcano, di incomprensibile, e spesso è proprio questo il loro fascino, come per la Monna Lisa di Da Vinci.



.."I volti sono lettere che restano chiuse"..

Pedro Madeira Pinto, Além mar

Prendiamo invece questo volto, ritratto da Pedro Madeira.
Le rughe marcano profondamente il suo volto, raccontando la sua storia, riflettendo il suo vissuto; sembrano scolpite eppure non induriscono i suoi lineamenti bensì li addolciscono (anche se ha le labbra serrate in una smorfia corrucciata). Il corpo è segnato dalla vita e lo sguardo ha ormai perso l'innocenza dell'infanzia. Ciò nonostante è uno sguardo sereno, placido, che assume nuovo colore e nuove immagini: è il riflesso dell'anima, delle sue speranze, dei suoi sogni per il futuro. Possiamo appena scorgere la profondità di questa donna, accarezzare la sua storia in punta di polpastrelli senza afferrarla mai del tutto.
Il viso non mostra solo chi siamo, ma anche quello che ci è successo, ciò che abbiamo vissuto.




in memoria della Città delle donne senza volto (Satkhira, il villaggio-ghetto del Bangladesh)





mercoledì 24 ottobre 2012

Gli angeli della pietà


Questo è il titolo della mostra, curata da Marco Bona Castellotti e Massimo Pulini, in allestimento al Museo della città di Rimini.
Testa del San Giovanni Battista
L'intento della piccola mostra è quello di concentrare di nuovo l'attenzione sulla splendida tela di Giovanni Bellini raffigurante Cristo morto con quattro angeli, in confronto con il Cristo e angeli di Marco Zoppo del Museo Civico di Pesaro, il rilievo quattrocentesco in cartapesta del Museo di Faenza e  la tavola di Francesco Francia della Pinacoteca Nazionale di Bologna.  La mostra ruota attorno agli studi sul contenuto iconografico dell'opera (ciò che colpisce è l'insolita compostezza degli angeli, oltretutto quattro anziché due) e sull'attribuzione della Testa del San Giovanni Battista (dal Museo Civico di Pesaro), qui riproposta come opera del Bellini. Più che soffermarmi sugli intenti di studio perseguiti dalla mostra (ed eloquentemente illustrati già nel comunicato sul sito del Comune di Rimini), vorrei soffermarmi sulla bellezza dell'opera, spesso sconosciuta agli stessi riminesi.

Giovanni Bellini, Cristo morto con quattro angeli.

Quest'opera, infatti, è in grado di riassumere la sublime capacità di Bellini nella resa di atmosfere eteree, inafferrabili, quasi sospese nel tempo. 

Giovanni Bellini, Orazione nell'orto.


Per intenderci: prendiamo in esempio un piccolo dettaglio dell'Orazione nell'orto di Bellini, in confronto con lo stesso soggetto dipinto però da Mantegna (cognato di quest'ultimo).

Il soggetto è il medesimo ma la resa è completamente differente. Nel quadro di Bellini la luce dorata del cielo accarezza il paesaggio addolcendolo e delinea con sottili tocchi le nuvole. L'ambiente riesce a rendere l'idea del calore e della spiritualità del momento.


Andrea Mantegna, Orazione nell'orto

In Mantegna, invece, è evidente una certa ruvidezza nella resa delle rocce. Con tocco quasi scultoreo, il pittore ricrea un ambiente quasi arido, desertico, caratterizzato da una natura pietrosa e da rocce scheggiate.

Mi rendo conto che le immagini che vi propongo sono piccole, ma potete trovarle a grandezza ottimale cercandole su Web Gallery of Art.






Tornando al Cristo morto del museo Riminese, il Cristo ha il capo abbandonato su una spalla, gli occhi socchiusi quasi da un dolce sonno e la bocca semi-aperta... viene quasi da chiedersi se avrà già liberato il suo ultimo respiro. 

La grazia con la quale è sorretto dagli angeli e con la quale il braccio destro scivola lentamente sino ad appoggiarsi al piano.. Il calmo rigolo di sangue che dalla ferita scorre silenzioso fino alla vita.. Tutto rimanda ad un'atmosfera di quieta compostezza, quasi il Cristo non stesse morendo di una morte tragica e sofferta, ma si stesse gradualmente addormentando..con il corpo che diventa man mano più pesante.

Francesco Raibolini, detto il Francia,
Cristo in pietà fra due angeli




Bel diverso il Cristo in pietà fra due angeli del Francia, dal corpo irrigidito e scultoreo. Gli angeli guardano altrove, sono assenti, mentre in Bellini partecipano al sua morte, con affetto e dolcezza.


Basta osservare la delicatezza con cui l'angelo a destra sorregge la mano del Cristo nell'opera di Bellini. 


Ha gli occhi apparentemente chiusi, ma il capo inclinato ci porta a pensare che stia posando il suo sguardo sulla ferita della mano con malinconica consapevolezza.
La veste gli cade, scoprendogli una spalla, ma egli è preso nella contemplazione di quella stimmata, di quel sacro simbolo: un simbolo muto eppure parlante, emblema dell'esperienza del dolore. 


L'opera merita decisamente il nostro sguardo, anche se la micro-mostra in sé non rivela una vera ricerca storico-artistica, come sottolineato anche da Gianmarco Russo nel suo articolo su Artribune. Mi unisco inoltre alle sue critiche per quel che riguarda l'utilizzo degli angioletti come "icone-pop" all'ingresso della mostra e sulle didascalie. Per quanto l'imponente cartone dell'angelo all'ingresso mi abbia aiutato a colpo d'occhio a trovare la sala dedicata alla mostra, trovo vagamente imbarazzante il loro utilizzo pubblicitario. Se già Benjamin aveva rilevato la perdita dell' "aura" dell'opera nel saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), questo di certo non aiuta a ridarle valore. Un'opera d'arte deve poterci rapire profondamente, non semplicemente colpire come un'insegna pubblicitaria lungo la strada.
Inoltre, citando nuovamente Russo: se l'intento della mostra era anche quello di far riflettere sulle questioni attributive del tondo di Pesaro (se opera del Bellini o di Marco Zoppo), "perché non disporre sulla stessa parete e a una distanza minima le due Pietà – quella di Zoppo e quella di Bellini – e frapporvi nel mezzo il tondo pesarese, così da permettere un paragone diretto fra i testi pittorici?"




La mostra è visitabile fino al 4 novembre 2012  nei seguenti orari:

da martedì a sabato: 8.30–13 | 16–19

domenica e festivi: 10–12.30 | 15–19

lunedì non festivo chiuso.


lunedì 17 settembre 2012

Edward Weston

Proprio questo weekend sono stata al festivalfilosofia che si tiene tutti gli anni a Modena.
Girovagando per la città, ho deciso di fermarmi alla mostra su Edward Weston, allestita all'ex ospedale Sant'Agostino.
Nahui Olin


La retrospettiva offre ben centodieci straordinari scatti in bianco e nero del grande fotografo statunitense, a partire dai primi lavori come ritrattista in cui già si percepiva il suo spirito indagatore alla ricerca di una realtà vera, cruda (come in questo scatto che ritrae Nahui Olin), in opposizione al pittoricismo diffuso al tempo.

La bravura di Weston sta nel trattare i suoi soggetti con estrema nitidezza, quasi iperreale, siano essi persone, oggetti, verdure o paesaggi.

Clouds, 1936.

Fantasie in bianco e nero, inafferrabili come le nuvole messicane che cerca di catturare nel 1936,

maestose come le dune/oceano del deserto, eppure semplici quotidiane come nello scatto che ritrae un radicchio spaccato a metà.

Per Weston "è nella mente che le cose diventano sculture dallo sguardo superbo, paiono animarsi da sé".

Per questo un lenzuolo ammucchiato ha lo stesso valore di un caspo di lattuga, di una nuvola, di una duna nel deserto, di un artista, di un amico.

foglia di cavolo
Con la sua cura quasi maniacale nella ricerca dell'immagine pura, egli sviluppa la capacità di vedere forme, linee e luci, al di là dell'oggetto in sé che gli si presenta davanti.

Questa foglia di cavolo non ha la stessa dignità 'estetica' dei profondi drappeggi di Bernini?
Dettaglio della Beata Ludovica Albertoni di
Bernini.












Nelle sue fotografie non c'è disordine né tanto meno posa, ma solo eleganza e astrazione. Non c'è spazio neppure per i sentimenti, se non per il silenzio e per un profondo senso di atemporalità ed eternità.

Ala di un pellicano

Scatti all'apparenza eteri, distanti, eppure intriganti. Come un incantesimo ti portano ad avvicinarti e a osservarli, a esplorare immagini e forme già distrattamente incontrate eppure mai vissute prima.
Wonderland of Rocks





Nudo, 1936.
























Gli scatti, risalenti dai primi anni venti fino agli anni quaranta, sono in gran parte provenienti dal Center For Creative Photography di Tucson, dove ha sede il più grande archivio dell'autore.


Edward Weston. Una retrospettiva.
Da 14 settembre al 9 dicembre 2012.
ex Ospedale Sant'Agostino, Largo Porta Sant'Agostino 228
Modena
orari: martedì-venerdì 11-13 e 15.30-19; sabato e domenica 11-20.
ingresso: 7 euro intero; 5 euro ridotto.
ingresso gratuito tutti i martedì.

Per maggiori informazioni vi rimando direttamente al sito della Fondazione Fotografia.
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