lunedì 25 marzo 2013

The obsession of the demiurge: Neu Rauch



Eccomi qua, finalmente di ritorno e in diretta dal Belgio, per parlarvi della mostra dedicata a Neo Rauch al BOZAR di Bruxelles.

Der Vorhang


La mostra ripercorre la carriera dell'artista a partire dal 1993 al 2012,e in ordine cronologico, tuttavia anacronisticament a partire dalle ultime opere per poi risalire alle prime.

Devo ammettere che a un primo sguardo, le sue opere lasciano straniti: un sapore forte di realismo socialista, si fonde con fantasie surrealiste, paesaggi immobili ed eterni alla De Chirico e immagini che ricordano il fumetto.







Nella prima sala, vengo subito attirata dai colori di Die Control.

Die control


La donna tendone mi ricorda immediatamente i paesaggi immobili e senza tempo di Dalì, ma anche di De Chirico: quei quadri in cui tutto è fermo, ed è proprio l'immobilità a rendere quel senso di immortalità ed eternità. Il secondo elemento che mi colpisce immediatamente (e che continuerà a ricorrere nelle sue ultime opere) è la fanfara di personaggi mostruosi e dannati, che paiono i cugini contemporanei delle creature che popolano i (magnifici!) quadri di Bosch. Tuttavia, quello di Neo Rauch non è uno stile che mi colpisce particolarmente e le sue immagini (descritte sui testi a supporto della mostra) come "profondamente narrative" mi sembrano solo enormi tele, maestose sì, ma silenziose.


Revo

In Revo trovo già una dimensione più congeniale (o almeno l'opera mi parla più delle precedenti). Al primo sguardo, sembra di essere dietro una quinta teatrale, brulicante e attiva. In realtà, osservando meglio, la realtà è una pillola molto più amara: tutti i personaggi sono pressoché indipendenti, isolati nella loro attività; i cassetti aperti mostrano oggetti abbandonati nel caos. In poche battute, trasformata in queste immagini che ricordano il realismo socialista, abbiamo una forte critica della società contemporanea e della sua freddezza e distanza: "Produci! Consuma! Crepa!" cantava Giovanni Lindo Ferretti.
L'unica parvenza di umanità e di comunità, è resa dai ragazzi che giocano. Il murales alle loro spalle (REVO, da cui il nome dell'opera) ricorda slogan rivoluzionari di altri tempi. Eppure, forse, il messaggio non è politico ma semplicemente umano: l'unica rivoluzione è ritrovare lo spirito umano disperso sotto questo gioco di ruoli  che ci spinge a produrre e non pensare.
Inoltre, forse sbagliando, leggo un'altro segnale critico contro la modernità nella doppia ambientazione dei personaggi: i lavoratori si trovano presso una grotta, che rimanda a qualcosa di primitivo e selvaggio, mentre i bambini giocano su delle scale, un ambiente che ricorda la casa, la civiltà...

La mostra prosegue in un turbinio di grandi tele con prospettive illusionistiche, personaggi iperreali confusi con figure da protuberanze orribili, quasi fossero gli stessi incubi e paure a fuoriuscire dall'interno del corpo stesso..

Das alte Lied

Nella prossima opera, Die alte Lied, al centro della tela è posizionato un uomo, in ginocchio, e un'enorme donna che lo tiene legato per il collo. L'uomo stende il suo braccio in direzione di un vulcano attivo, mentre tutta la città pare sommersa ormai. Sorge spontanea la domanda: la donna lo trattiene per salvarlo da un'impresa rischiosa? Eppure è così ferma e impassibile da farmi quasi pensare all'ennesima metafora della società contemporanea e ai suoi inganni: la donna mentre lo protegge, lo tiene anche in trappola, rendendolo impotente di fronte alla distruzione. A destra abbiamo un altro uomo, anch'esso legato (anch'esso salvo o in trappola?). Solo in basso a sinistra si apre un piccolo spiraglio, come un sogno o un ricordo: sembra una lezione scolastica, come fosse il ricordo di quel che c'era di buono nella cultura e nel progresso, prima di annegarci come la città immersa nella lava.

Konvoi (purtroppo questa immagine è tagliata)

In Kovoi l'ambiente cambia: è una natura distorta, allucinatoria, incorniciata da un cielo rosso sangue. A destra c'è un corpo appeso e aperto in due, mentre sullo sfondo una serie di camionette in arrivo dimostrano che la guerra non è affatto conclusa e la natura rappresentata in tutta la sua tragicità ne è anch'essa lo specchio.
Il soldato, in primo piano, è una sorta di autoritratto del pittore: il fucile infatti sostiene una scatola di vernice. Forse romanticamente mi viene da collegare questa figura a coloro che cercano di salvarsi scappando, in basso a destra..come se l'artista con la sua arte potesse salvarli e dar loro una strada (e quindi una visione) alternativa a quella tragica realtà..




Tuttora mi riesce difficile comprendere se mi piaccia o meno. C'è qualcosa di ferocemente ripetitivo nelle sue opere che mi fa oscillare tra il giudizio di una persona che abbia un'idea chiara da trasmettere e quello di un pittore che semplicemente ha trovato il messaggio e il linguaggio che funziona (i suoi quadri sono stra-pagati) e lo ricicla all'infinito.

Non resta che dire: andate e fatevi una vostra opinione!

La mostra, curata da Harald Kunde, è tutt'ora visitabile al BOZAR di Bruxelles, fino al 19 maggio.
Aperto da martedì a sabato dalle 10 alle 18, il giovedì dalle 10 alle 21.



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