martedì 27 novembre 2012

Vanità delle vanità, tutto è vanità


Vanità delle vanità, dice Qoèlet,

vanità delle vanità, tutto è vanità.

Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno
per cui fatica sotto il sole?

Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.

Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.

Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna.



Così inizia l'Ecclesiaste, a cui si ispira Walter Angelici per le sue 'carte intelate' esposte al Museo della città di Rimini nella mostra "Walter Angelici. Carte del Cielo e della terra".

lunedì 19 novembre 2012

Body Worlds




Quando ho scoperto che a Milano era aperta una mostra sui corpi di Gunther Von Hagens, ho immediatamente deciso di mettermi e metterla alla prova, visitandola. Di fronte alle azioni "artistiche" estreme, ho sempre il timore di trovarmi di fronte a qualcosa di pacchiano più che interessante. Non è stato così.

Body Worlds, in esposizione alla Fabbrica del Vapore a Milano, mette in mostra corpi e organi umani o animali, trattati con un metodo speciale inventato e brevettato dallo stesso von Hagens chiamato plastinazione. “Plastinare” implica sostituire i fluidi umani con polimeri di silicone, in un ambiente creato su misura, e il risultato è un esemplare inodore, solido, che sconfigge il tempo e la decomposizione. Sia chiaro: tutti i corpi provengono da un programma di donazione di corpi istituito a Heidelberg, in Germania nel 1978. Ci sono cause in corso riguardo all'effettiva legalità dell'operazione del Dott. Gunther, ma per ora non esistono prove in merito. 
Lo scopo iniziale di queste sperimentazioni era rivolto alla comunità scientifica, ma l'elevato numero di visitatori è testimone di come sia riuscito ad aprire l'anatomia verso il grande pubblico. Come per gli antichi scorticati settecenteschi, questi corpi si liberano dello strato superficiale della pelle per mostrarsi in tutta la loro cruda natura di nervi, muscoli ed ossa. 

Effettivamente la messa in posa di alcuni corpi ha interdetto anche me, soprattutto per quel che riguarda i giocatori di carte. 

Quando ho notato che un giocatore stava passando una carta sotto il tavolo attraverso il piede, non nego che un sorriso per lo humor nero mi è sfuggito; tuttavia mi sembra un'operazione inutile e sterile. Tanti infatti hanno preso a pretesta le pose "spettacolari" per criticare la mostra e additarla come irrispettosa per i cadaveri.
Ad ogni modo, posso assicurarvi che appare molto più scabrosa attraverso le immagini sul web che dal vivo; quando trovi i corpi di fronte a te, la percezione è di uno strano miscuglio di iperrealismo e irrealtà. Tutto è estremamente vero, eppure appare surreale nella sua fredda immobilità.
vasi sanguigni del viso

Che possa essere visto come morboso o come affascinante, ciò che colpisce della visita è la possibilità di vedere messo in mostra ciò che per tutta una vita siamo, ma non possiamo vedere o capire fino in fondo: si può osservare da vicino il proprio spazio fisico interiore, sia sano che malato.
La mostra permette di comprendere l'estrema complessità ed efficienza del corpo umano in tutti i suoi elementi: sono esposti e spiegati tutti gli apparati e gli organi, senza eccezioni.
Mi ha colpito profondamente vedere fisicamente alcuni tumori, l'Alzheimer che ripiega un cervello su se stesso, ma anche il portento della medicina attraverso la spiegazione dell'utilizzo di protesi, viti, cuori artificiali.. Trovarsi di fronte un cuore vero con un bypass, rende certamente meglio l'idea dell'intervento di mille spiegazioni o illustrazioni.

Cuore sezionato
Inoltre, avete mai pensato a quante vene e arterie sono necessarie a irrorare di sangue il corpo umano? Bè, pensate che se allineati e stesi in un unica linea, tutti i vasi sanguigni ricoprono una retta lunga 96500 km, ovvero il doppio della circonferenza terrestre! E questo è solo un esempio della complessità del corpo umano.. Così piccoli eppure così grandi.. è spiazzante.

Ciò che procura ansia in chi critica la mostra è il ritrovarsi di fronte alla morte.
In Professione antropologo, viene sottolineato come "gli ultimi decenni siano stati connotati dall’asportazione a livello collettivo del concetto stesso di morte": si cerca di evitare di pensare alla morte, di sfuggirle attraverso i progressi della medicina, di rimandarla attraverso la chirurgia estetica. La morte è quasi un argomento tabù, eppure proprio per questo suscita sempre più l'interesse altrui. Come scrisse Žižek in Benvenuti nel deserto del reale, "l'opposto di esistenza non è inesistenza, ma insistenza: quel che non lasciamo esistere continua ad insistere, a lottare per emergere". Negare la possibilità di esporre questi corpi, implicherebbe una vera e propria censura per la conoscenza di noi stessi e porterebbe soltanto a una ossessione (questa volta davvero morbosa) per la morte.

Lo scandalo, spesso, è solo negli occhi di chi guarda.








Dal 3 ottobre 2012 al 17 febbraio 2013.


INGRESSO:
Adulti EUR 15,00
Bambini e ragazzi ( da 6 a 18 anni) EUR 12,00
Studenti e riduzioni* EUR 14,00
Biglietto famiglia EUR 40,00
Gruppi di minimo 10 persone

La mostra è aperta tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 20.00 con orario continuato.

Per maggiori info, vi rimando al sito della mostra Body Worlds.



sabato 17 novembre 2012

Picasso a Palazzo Reale

Il bacio (dettaglio), 1925
Welcome back Milano!
Tornare a Milano dopo averci vissuto fa sempre piacere, anche se fa altrettanto piacere avere conferma di non volerci vivere stabilmente. Essendo a Milano, ho approfittato per andare a Palazzo Reale a vedere l'esposizione dedicata a Picasso e curata da Anne Baldassarri, direttrice del Museo Nazionale Picasso di Parigi.
La mostra è stata pubblicizzata come un grande evento, riproposto nella città meneghina per la terza volta, dopo le mostre del 1953 e del 2001. Proprio in memoria della grande esposizione del '53, le prime sale riportano una ricca sezione documentaria (anche se ammetto che la mia brama di vedere le opere mi ha portato a pensare "carte, carte, carte..").
Il Massacro in Corea accoglie i visitatori all’ingresso della Sala delle Cariatidi.

Massacro in Corea, 1951.
Goya, 3 maggio 1808, 1814.

I fucili spianati rievocano quelli delle truppe napoleoniche puntati sulla popolazione spagnola nel 3 maggio 1808 di Goya. In entrambi i dipinti i fucilieri sono senza volto (nel caso di Goya addirittura sono di spalle), ritratti come una massa anonima, rigida, pronta ad agire freddamente. Al contrario le vittime sono caratterizzate da espressioni del viso terrorizzate, da movimenti scomposti che li portano a riunirsi in gruppo per farsi forza a vicenda. Ma la cosa che più mi ha colpito sono le differenti reazioni delle vittime: le donne, mature, ormai appesantite dalle tristi esperienze di guerra già vissute, hanno il viso trasfigurato dal dolore...forse per sé stesse, sapendo a cosa vanno incontro, o forse per quei bambini, così piccoli e innocenti. Il ragazzino, dall'aria sorpresa e spaesata, corre verso la ragazza, che rimane ferma, inerme. Come se entrambi, già ragazzi ma non ancora adulti, comprendessero di trovarsi in una situazione pericolosa ma senza esser veramente consapevoli. Il bimbo, a terra, rappresenta l'infanzia, l'ingenuità e l'innocenza più pura: in mezzo alle grida di spavento, si accuccia, pacifico, a raccogliere dei fiori. Ed è per lui la mia emozione più profonda.
Si sente la mancanza di Guernica, anche se la sala riporta un'ampia didascalia sull'opera e la documentazione fotografica che la ritrae nelle varie fasi di definizione.

Picasso, Celestina, 1904.


Di fronte alla Celestina, meraviglioso esempio del periodo blu, non si può che rimanere senza fiato. 
Celestina, orba da un occhio, ha lo sguardo interdetto: le sopracciglio arcuato, la bocca inarcata verso il basso.






Picasso, Testa di donna (Fernande),1909
Congelata e rapita nel suo mare turchese è immortale, eppure così umana e mortale nella sua espressione e cecità.




Percorrendo le fasi di Picasso, rappresentate da più di 250 opere esposte, è possibile ripercorrere le più influenti correnti del Novecento.  Non mi meraviglia, quindi, rivedere nelle ciocche dei capelli della Testa di donna, lo stesso movimento dei muscoli tesi nel movimento in Boccioni

E così la testa di donna (Madeleine) del 1905 ricorda invece gli inafferrabili disegni di Odilon Redon, mentre la donna che implora il cielo mi riporta alla mente le giunoniche donne sironiane.


Picasso, Il bacio, 1925



Nel bacio, i corpi sono scomposti eppure riconoscibili. Ciò che dovrebbe rappresentare un abbraccio è in realtà una lotta di forme e colori in contrasto.
A sinistra l'uomo stringe la sua compagna imperioso, quasi assorbendola completamente, mentre lei si lascia rapire dal bacio, piegando il capo all'indietro. 
Nel suo intricato intreccio di corpi, è un'opera primordiale eppure sensuale, carica di passione travolgente.

Nei giocatori di calcio sulla spiaggia del 1928 (di cui purtroppo non ho un'immagine da offrirvi), il corpo del giocatore è deforme, dagli arti spropositatamente lunghi. Eppure la sua ombra, proiettata sulla cabina, è diversa, è proporzionata e armoniosa. Quasi fosse una metafora dell'odierna società dell'apparenza, la sua immagine riflessa è umana mentre ciò che è realmente è mostruoso. 



Picasso, La Supplicante, 1937



Con i suoi occhi a forma di lacrima e le sue braccia alzate in preghiera, la Supplicante ci guarda e implora. La bocca spalancata, con i denti in mostra, ricorda quasi una dentatura equina, accentuando il senso di disagio dello spettatore di fronte al suo grido.
Quello della supplicante è un dolore estremo, ma anche carico di fede; del resto la supplica nasce solo di fronte alla speranza (fede) di ottenere un aiuto, una risposta favorevole. Forse è questa sensazione che mi porta a leggere la veste nera e il velo, come un richiamo alle vesti da monaca; quasi volesse innalzare il dolore e la disperazione a sentimenti sacri.





Picasso, Femmina che piange VII, 1937



Nella femmina che piange torna la forma a lacrima per gli occhi, ma questa volta il dolore non è più sacro ma tragico. Le lacrime, come chiodi, tracciano rigide dei solchi sulla guancia. La fronte è rigonfia in una tremenda protuberanza: il dolore è come un tumore che le scoppia dalla mente (o forse dal pensiero che la porta a soffrire?).
La bocca, nuovamente spalancata nel suo grido di sofferenza, rende ancora più tragica l'espressione del volto.




Picasso, Ecce homo. D'Apres a Rembrandt, 1970






Verso la fine della sua vita, Picasso ha creato una ripresa della sua carriera in alcune incisioni, un sipario oltre il quale ritornano molti dei suoi attori, come in questa Ecce homo. D'Apres a Rembrandt
Come se ciò che è lasciato in luce (e quindi sul palco) fosse l'apparenza: pulita, chiara, quasi guidata da una legge superiore (ricollegabile forse anche alle mani e al viso che sporgono in alto sul sipario, come a guidare dei burattini).
Nell'ombra è il caos. Spettatori e donne che si disperano, corpi confusi sulle gallerie. Altrettanto dietro le quinte del teatro è il fermento: linee in movimento pronte a divenire bianco ordine sulla scena.



Nel complesso, una mostra ben allestita e completa per quel che riguarda il percorso cronologico dell'artista. Alcune opere eccezionalmente emozionanti, anche se rimango soddisfatta a metà.


"Io miro alla somiglianza più profonda,
più reale del reale
che raggiunga il surreale"
P. Picasso



Fino al 6 gennaio 2013.

ORARI:
lunedì, martedì e mercoledì: 8.30-19.30
giovedì, venerdì, sabato e domenica: 9.30-23.30

INGRESSO: intero € 9, ridotto € 7,50, ridotto speciale € 4,50

Maggiori info sul sito mostrapicasso.



lunedì 5 novembre 2012

Ascoltarsi e saper ascoltare

Essere l'angelo custode di sé stessi. Ascoltarsi e dedicarsi del tempo...magari ascoltandosi un bel concerto di classica. Questo è quello che ho fatto stasera, approfittando dell'opportunità del concerto al Teatro Novelli di Rimini, "offerto alla città per volere e in memoria di Minnie Torsani" (ovvero GRATIS) in apertura della Sagra Musicale Malatestiana.
Come secondo programma, il Trio di Parma (ovverosia nello specifico Alberto Miodini al pianoforte, Ivan Rabaglia al violino e Enrico Bronzi al violoncello) avrebbe eseguito l'Arciduca, op.97 di Beethoven e il trio per violino, violoncello e pianoforte, op.65 di Dvořák  Entro a teatro e come al solito noto l'evidente mancanza di giovani (meglio spendere 10 euro per un aperitivo, che godere di un concerto gratis vero?).
Lo ammetto, la prima parte su Beethoven non mi ha entusiasmato. Bravissimi tutti e tre i musicisti, ma era proprio il componimento in sé a non entusiasmarmi. Ad eccezione di questo movimento, meno arzigogolato e intriso di note, ma più caldo e carezzevole (ovviamente nel video gli interpreti sono altri, ma non potevo fare altrimenti).



In ogni caso, anche se gli interpreti fossero esattamente gli stessi, non renderebbe mai completamente l'idea del concerto dal vivo: senza poter vedere i musicisti soffrire e contorcersi sui loro strumenti. L'interprete del trio che più mi ha colpito in questa prima parte, è stato il violoncellista Bronzi: incapace di restar fermo sulla sua seggiola, ogni nota vibrava in lui prima ancora che nel suo strumento. E l'espressione del suo viso, quasi esasperata, era in grado di prenderti e trascinarti nella sua musica.
Il pubblico affianco a me comincia a dare segni di cedimento alla seconda parte del concerto; forse l'orario tardo o forse ormai stanchi.. Esistono sempre delle piccole avversità nel trovarsi in mezzo a un pubblico di pensionati (e non sempre presi dalla musica), ma almeno apprezzo la loro curiosità e volontà di provare ad avvicinarsi a questo tipo di concerto, oltretutto offerto dalla città (e quindi GRATIS, ci tengo a sottolinearlo).
La parte dedicata a Dvořák è stata a mio parere sublime.




Uscire da teatro sentendo il vento che si alza fra gli alberi, le foglie che volano ovunque e l'odore del mare in burrasca...bé, cosa vi siete persi miei bei riminesi pantofolai.








Qualche riga di invettiva per i giovani riminesi:

Dove eravate?! Perché il vostro acume, la vostra intelligenza e sensibilità viene fuori solo per creare frasi d'effetto su facebook?! Concedetemi di generalizzare visto che ultimamente, anche alle mostre, ho visto solo turisti e gruppi di pensionati.. Giovani ciechi, sordi e senza cuore...
Concedetemi il linguaggio estremamente diretto: che gente del cazzo. Oh. L'ho scritto.



lunedì 29 ottobre 2012

I volti sono lingue senza alfabeto..


Leonardo da Vinci, La Gioconda




I volti sono ricordi che deridono il passato
i volti sono una pozione chimica nella quale circolano le domande
i volti sono lingue senza alfabeto
i volti sono lettere che restano chiuse.


(da Il velo dei volti, in Non ho peccato abbastanza, 
della poetessa irachena Amal al-Juburi)






Si parla di Volto: nella sua duplice valenza di soggetto e oggetto di sguardi (nel suo duplice aspetto di Vultus, cioè lato visibile, e Visus, cioè capacità di vedere, sguardo). Il volto è la frontiera tra ciò che sentiamo "dentro", tra la nostra interiorità, e l'esterno; a volte nasconde i nostri veri pensieri a chi ci osserva, rendendoli enigmatici e incomprensibili al suo sguardo, a volte invece li esprime con forza, e a volte persino li tradisce.

.."I volti sono lingue senza alfabeto"..

Nessuno ci insegna a leggere il volto altrui, eppure è una dote innata: certo, più o meno accentuata e sensibile, ma appartiene a ciascuno.

Messerschmidt Franz Xaver, scultore austriaco settecentesco, lavorò a una serie di "teste di carattere" (charakterköpfe). Si tratta di quarantanove sculture di teste maschili, tutte raffiguranti un uomo pelato di mezza età, nelle più svariate smorfie.
Prendiamo per esempio due di queste opere.

 




Credo sia abbastanza automatico comprendere quale delle due teste rappresenti un uomo di cattivo umore.
Tuttavia questi busti, seppur efficaci per comprendere l'innata capacità di lettura delle espressioni facciali, non possono rendere l'unicità dell'aspetto di ciascun volto. L’impostazione rigorosamente frontale e con le due parti del volto sempre estremamente simmetriche (anche nei dettagli più minuziosi), creano un effetto di stilizzazione che raffredda in modo straniante la vitalità della tensione espressiva. L’apparente paradosso di questa serie è infatti la compresenza di un esasperato iperrealismo e di una inquietante de-soggettivazione, il contrasto tra un’attenta mimesi dei tratti somatici e la mancanza di quella espressività che caratterizza l’unicità di una fisionomia.

Nella realtà invece, a volte i visi mantengono qualcosa di arcano, di incomprensibile, e spesso è proprio questo il loro fascino, come per la Monna Lisa di Da Vinci.



.."I volti sono lettere che restano chiuse"..

Pedro Madeira Pinto, Além mar

Prendiamo invece questo volto, ritratto da Pedro Madeira.
Le rughe marcano profondamente il suo volto, raccontando la sua storia, riflettendo il suo vissuto; sembrano scolpite eppure non induriscono i suoi lineamenti bensì li addolciscono (anche se ha le labbra serrate in una smorfia corrucciata). Il corpo è segnato dalla vita e lo sguardo ha ormai perso l'innocenza dell'infanzia. Ciò nonostante è uno sguardo sereno, placido, che assume nuovo colore e nuove immagini: è il riflesso dell'anima, delle sue speranze, dei suoi sogni per il futuro. Possiamo appena scorgere la profondità di questa donna, accarezzare la sua storia in punta di polpastrelli senza afferrarla mai del tutto.
Il viso non mostra solo chi siamo, ma anche quello che ci è successo, ciò che abbiamo vissuto.




in memoria della Città delle donne senza volto (Satkhira, il villaggio-ghetto del Bangladesh)





mercoledì 24 ottobre 2012

Gli angeli della pietà


Questo è il titolo della mostra, curata da Marco Bona Castellotti e Massimo Pulini, in allestimento al Museo della città di Rimini.
Testa del San Giovanni Battista
L'intento della piccola mostra è quello di concentrare di nuovo l'attenzione sulla splendida tela di Giovanni Bellini raffigurante Cristo morto con quattro angeli, in confronto con il Cristo e angeli di Marco Zoppo del Museo Civico di Pesaro, il rilievo quattrocentesco in cartapesta del Museo di Faenza e  la tavola di Francesco Francia della Pinacoteca Nazionale di Bologna.  La mostra ruota attorno agli studi sul contenuto iconografico dell'opera (ciò che colpisce è l'insolita compostezza degli angeli, oltretutto quattro anziché due) e sull'attribuzione della Testa del San Giovanni Battista (dal Museo Civico di Pesaro), qui riproposta come opera del Bellini. Più che soffermarmi sugli intenti di studio perseguiti dalla mostra (ed eloquentemente illustrati già nel comunicato sul sito del Comune di Rimini), vorrei soffermarmi sulla bellezza dell'opera, spesso sconosciuta agli stessi riminesi.

Giovanni Bellini, Cristo morto con quattro angeli.

Quest'opera, infatti, è in grado di riassumere la sublime capacità di Bellini nella resa di atmosfere eteree, inafferrabili, quasi sospese nel tempo. 

Giovanni Bellini, Orazione nell'orto.


Per intenderci: prendiamo in esempio un piccolo dettaglio dell'Orazione nell'orto di Bellini, in confronto con lo stesso soggetto dipinto però da Mantegna (cognato di quest'ultimo).

Il soggetto è il medesimo ma la resa è completamente differente. Nel quadro di Bellini la luce dorata del cielo accarezza il paesaggio addolcendolo e delinea con sottili tocchi le nuvole. L'ambiente riesce a rendere l'idea del calore e della spiritualità del momento.


Andrea Mantegna, Orazione nell'orto

In Mantegna, invece, è evidente una certa ruvidezza nella resa delle rocce. Con tocco quasi scultoreo, il pittore ricrea un ambiente quasi arido, desertico, caratterizzato da una natura pietrosa e da rocce scheggiate.

Mi rendo conto che le immagini che vi propongo sono piccole, ma potete trovarle a grandezza ottimale cercandole su Web Gallery of Art.






Tornando al Cristo morto del museo Riminese, il Cristo ha il capo abbandonato su una spalla, gli occhi socchiusi quasi da un dolce sonno e la bocca semi-aperta... viene quasi da chiedersi se avrà già liberato il suo ultimo respiro. 

La grazia con la quale è sorretto dagli angeli e con la quale il braccio destro scivola lentamente sino ad appoggiarsi al piano.. Il calmo rigolo di sangue che dalla ferita scorre silenzioso fino alla vita.. Tutto rimanda ad un'atmosfera di quieta compostezza, quasi il Cristo non stesse morendo di una morte tragica e sofferta, ma si stesse gradualmente addormentando..con il corpo che diventa man mano più pesante.

Francesco Raibolini, detto il Francia,
Cristo in pietà fra due angeli




Bel diverso il Cristo in pietà fra due angeli del Francia, dal corpo irrigidito e scultoreo. Gli angeli guardano altrove, sono assenti, mentre in Bellini partecipano al sua morte, con affetto e dolcezza.


Basta osservare la delicatezza con cui l'angelo a destra sorregge la mano del Cristo nell'opera di Bellini. 


Ha gli occhi apparentemente chiusi, ma il capo inclinato ci porta a pensare che stia posando il suo sguardo sulla ferita della mano con malinconica consapevolezza.
La veste gli cade, scoprendogli una spalla, ma egli è preso nella contemplazione di quella stimmata, di quel sacro simbolo: un simbolo muto eppure parlante, emblema dell'esperienza del dolore. 


L'opera merita decisamente il nostro sguardo, anche se la micro-mostra in sé non rivela una vera ricerca storico-artistica, come sottolineato anche da Gianmarco Russo nel suo articolo su Artribune. Mi unisco inoltre alle sue critiche per quel che riguarda l'utilizzo degli angioletti come "icone-pop" all'ingresso della mostra e sulle didascalie. Per quanto l'imponente cartone dell'angelo all'ingresso mi abbia aiutato a colpo d'occhio a trovare la sala dedicata alla mostra, trovo vagamente imbarazzante il loro utilizzo pubblicitario. Se già Benjamin aveva rilevato la perdita dell' "aura" dell'opera nel saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), questo di certo non aiuta a ridarle valore. Un'opera d'arte deve poterci rapire profondamente, non semplicemente colpire come un'insegna pubblicitaria lungo la strada.
Inoltre, citando nuovamente Russo: se l'intento della mostra era anche quello di far riflettere sulle questioni attributive del tondo di Pesaro (se opera del Bellini o di Marco Zoppo), "perché non disporre sulla stessa parete e a una distanza minima le due Pietà – quella di Zoppo e quella di Bellini – e frapporvi nel mezzo il tondo pesarese, così da permettere un paragone diretto fra i testi pittorici?"




La mostra è visitabile fino al 4 novembre 2012  nei seguenti orari:

da martedì a sabato: 8.30–13 | 16–19

domenica e festivi: 10–12.30 | 15–19

lunedì non festivo chiuso.


lunedì 17 settembre 2012

Edward Weston

Proprio questo weekend sono stata al festivalfilosofia che si tiene tutti gli anni a Modena.
Girovagando per la città, ho deciso di fermarmi alla mostra su Edward Weston, allestita all'ex ospedale Sant'Agostino.
Nahui Olin


La retrospettiva offre ben centodieci straordinari scatti in bianco e nero del grande fotografo statunitense, a partire dai primi lavori come ritrattista in cui già si percepiva il suo spirito indagatore alla ricerca di una realtà vera, cruda (come in questo scatto che ritrae Nahui Olin), in opposizione al pittoricismo diffuso al tempo.

La bravura di Weston sta nel trattare i suoi soggetti con estrema nitidezza, quasi iperreale, siano essi persone, oggetti, verdure o paesaggi.

Clouds, 1936.

Fantasie in bianco e nero, inafferrabili come le nuvole messicane che cerca di catturare nel 1936,

maestose come le dune/oceano del deserto, eppure semplici quotidiane come nello scatto che ritrae un radicchio spaccato a metà.

Per Weston "è nella mente che le cose diventano sculture dallo sguardo superbo, paiono animarsi da sé".

Per questo un lenzuolo ammucchiato ha lo stesso valore di un caspo di lattuga, di una nuvola, di una duna nel deserto, di un artista, di un amico.

foglia di cavolo
Con la sua cura quasi maniacale nella ricerca dell'immagine pura, egli sviluppa la capacità di vedere forme, linee e luci, al di là dell'oggetto in sé che gli si presenta davanti.

Questa foglia di cavolo non ha la stessa dignità 'estetica' dei profondi drappeggi di Bernini?
Dettaglio della Beata Ludovica Albertoni di
Bernini.












Nelle sue fotografie non c'è disordine né tanto meno posa, ma solo eleganza e astrazione. Non c'è spazio neppure per i sentimenti, se non per il silenzio e per un profondo senso di atemporalità ed eternità.

Ala di un pellicano

Scatti all'apparenza eteri, distanti, eppure intriganti. Come un incantesimo ti portano ad avvicinarti e a osservarli, a esplorare immagini e forme già distrattamente incontrate eppure mai vissute prima.
Wonderland of Rocks





Nudo, 1936.
























Gli scatti, risalenti dai primi anni venti fino agli anni quaranta, sono in gran parte provenienti dal Center For Creative Photography di Tucson, dove ha sede il più grande archivio dell'autore.


Edward Weston. Una retrospettiva.
Da 14 settembre al 9 dicembre 2012.
ex Ospedale Sant'Agostino, Largo Porta Sant'Agostino 228
Modena
orari: martedì-venerdì 11-13 e 15.30-19; sabato e domenica 11-20.
ingresso: 7 euro intero; 5 euro ridotto.
ingresso gratuito tutti i martedì.

Per maggiori informazioni vi rimando direttamente al sito della Fondazione Fotografia.

venerdì 10 agosto 2012

I funerali dell'anarchico Pinelli, part. 2


Vi ho parlato di quest'opera di Baj finalmente esposta a Milano dopo 40 anni di oblio, in un precedente post di poco più di un mese fa. Il 2 settembre l'opera rischia di tornare nell'ombra, lontano dal cuore e dal pensiero degli italiani.
Ora è in corso una petizione affinché l'opera resti fruibile a Milano negli anni a seguire. Sono sempre stata incerta e diffidente dalle petizioni, ma alla fine...perché non tentare? Firmate la petizione qui!

Un'opera d'arte è un modo per preservare la storia dalla sua riscrittura fissandola in una immagine.Firmiamo per impedire che anche questo tassello ci venga strappato.
                                            
Chi dimentica le vittime,  
Dimentica le ingiustizie,
Dimentica il presente.

mercoledì 25 luglio 2012

Quando la pittura si fa cinema: Aleksandr Petrov


Si tratta di uno dei vetrini di Aleksandr Petrov, regista e animatore russo, nonché autore del piccolo capolavoro dedicato a Il vecchio e il mare di Hemingway, che gli è valso l’oscar per il miglior cortometraggio animato ed il primo premio al prestigioso festival di animazione di Annecy. Non starò certo qui a raccontarvi la trama del filmato visto che molti conosceranno già la storia e che, per chi ancora non ne fosse a conoscenza, c'è l'intero universo del web da sfruttare per colmare la lacuna (o leggersi il libro, volendo!). 





Petrov ha realizzato questo stupendo cortometraggio animato, dipingendo con colori ad olio sul vetro, e dando così respiro e carne viva ai personaggi del racconto. La tecnica, estremamente complessa, prevede l’utilizzo di un sistema di pannelli di vetro di grandi dimensioni su cui utilizzare le dita per dipingere le immagini da animare, modificandole poi leggermente di fotogramma in fotogramma.




Si tratta di più di 29.000 fotogrammi realizzati nell’arco di due anni e mezzo per ottenere circa 20 minuti di animazione; per un minuto di film girato occorrono circa 1000 disegni. Ne risultano immagini fluide e morbide; allo spettatore rimane il piacere di contemplare i movimenti dei personaggi e i passaggi di luce e di colore. Ciò che più colpisce è comunque l'estrema bellezza delle immagini create: dinanzi allo sguardo dello spettatore scene intense sfumano una nell’altra quasi per magia, fondendosi in una composizione cinematografica di straordinaria bellezza.




Quando l'emozione si fa tocco in punta di dita e il tocco si fa immagine, poi l'immagine si fa filmato e il filmato torna emozione..
Non mi resta che lasciarvi direttamente al cortometraggio, sperando che anche voi sappiate farvi sfiorare dal suo romantico tocco..



martedì 3 luglio 2012

Le statue di marmo muoiono in bianco e non sempre del tutto.



Statua greca



Con l'aiuto degli uomini e di altri elementi
il tempo si è dato un gran da fare intorno a lei.
Dapprima l'ha privata del naso, poi dei genitali,
quindi delle dita di mani e piedi,
col passare degli anni di un braccio e poi dell'altro,
della coscia destra e di quella sinistra,
di dorso e fianchi, di testa e natiche,
e quei pezzi li riduceva in
calcinacci, ghiaia, sabbia.


Quando muore così qualcuno vivo,
molto sangue sgorga ad ogni colpo.



Le statue di marmo tuttavia muoiono in bianco
e non sempre del tutto.



Della statua in questione si è conservato il busto
ed è come un respiro trattenuto nello sforzo,
poiché adesso deve
attirare
a sé
tutta la grazia e la gravità
di quanto si è perduto.


E questo gli riesce,
questo ancora gli riesce,
riesce e affascina,
affascina e dura -


Anche il tempo qui merita una menzione di lode,
poiché ha smesso di lavorare
e ha lasciato qualcosa per dopo.

W. Szymborska






Un ringraziamento speciale al Museo Tattile Omero, che mi ha permesso questa incredibile esperienza tattile..

giovedì 28 giugno 2012

I funerali dell'anarchico Pinelli


Nella Sala delle 8 Colonne è in mostra il Funerale dell'anarchico Pinelli, ad opera di Enrico Baj. L'installazione è visibile gratuitamente nella sala anche detta delle Cariatidi, a Palazzo Reale a Milano, dal 21 giugno al 2 settembre 2012.

L'allestimento, avvenuto sotto la supervisione di Giorgio Marconi, riporta l'opera alla sua destinazione originale dove nel 1972 doveva essere esposta seppur, per "motivi tecnici", ciò non avvenne.
Tra il rame della ruggine e le poche statue delle Cariatidi sopravvissute ai bombardamenti della guerra, la sala si carica di pathos e tensione. La stanza è semibuia, umida e scrostata. L'impressione è quella di essere accolti in un limbo senza tempo. Le cariatidi, illuminate dal basso, sorvegliano l'opera come spiriti eterni e gli specchi, che si alternano ad esse, dilatano lo spazio aiutando a perdere la concezione del "qui e ora".
In fondo alla sala, come un'epifania, la grande opera illuminata.


I corpi sono realizzati con materiali poveri: corde, cinture di cuoio, bottoni, ingranaggi, lacrime pesanti come sassi. Una figlia si copre il volto per non vedere, l'altra tende le braccia per salvarlo, mentre la moglie Licia sembra essere fuggita dalla Guernica di Picasso per piangere con strazio l'addio al suo amato.



Pinelli non è staccato dal pannello di fondo per stare davanti insieme alle donne della sua famiglia, ma si trova al centro simbolico e fisico della scena retrostante. Grida talmente forte che la faccia si sdoppia, deformata dall’aria che riempie il palato.
Una serie infinita di mani giunge dall'altro, ma non è certo la mano della Provvidenza.
Eppure l'opera di Baj non offre risposte sul passato.

La notte successiva alla strage di Piazza Fontana la polizia fermò 84 sospetti, tra cui Pinelli, che venivano rilasciati man mano che il loro alibi veniva verificato. Tre giorni dopo, il 15 dicembre, Pinelli si trovava nel palazzo della questura, sottoposto ad interrogatorio da parte di Antonino Allegra e del commissario Luigi Calabresi, oltre che tre sottufficiali della polizia in forza all'Ufficio Politico, un agente, ed un ufficiale dei carabinieri, quando dalla finestra dell'ufficio dove stava avvenendo l'interrogatorio precipitò dal quarto piano in un’aiuola della questura. Fu portato all'ospedale Fatebenefratelli, ma ci arrivò già morto.

Per i più curiosi su questo oscuro momento della storia italiana, consiglio quanto meno il film  Romanzo di una strage, con la regia di Mario Tullio Giordana.


mercoledì 27 giugno 2012

Nella stretta di un abbraccio


Quante emozioni possono celarsi dietro un abbraccio..
L'abbraccio è la dimostrazione d'affetto più pura che si possa donare: è un ciclo energetico che fluisce da chi lo dona a chi lo riceve e, a differenza dei baci, non può essere rubato. Un abbraccio può celare tante parole, tante emozioni, ed è diverso per intensità e sincerità.



C'è l'abbraccio come sostegno, una forza che raddoppia, passando di mano in mano, da braccio a braccio, da corpo a corpo. Il tempo perde senso e la solitudine si fa vicinanza. Il corpo si alleggerisce e si placa nel calore del contatto.








L'abbraccio come abbandono, in cui si cede completamente all'altro, come in questa stretta fra Eros e Psiche. La testa reclinata, pesante di lei, completamente lasciata andare tra le mani di Eros..






C'è il vellutato abbraccio materno, la dolcezza con cui la madre culla il bambino. Un abbraccio che è al contempo carezza e calore, nella semplice serenità di un rapporto imprescindibile. Nell'abbraccio il bambino riconosce il battito cardiaco della madre e il suo profumo, in cui addormentarsi spensieratamente.


Ma anche l'abbraccio materno violento, spaventato, di una madre che cerca di salvare il proprio figlio con tutte le sue forze.


C'è l'abbraccio intenso che porta all'abisso, come in questa scultura di Pietro Canonica. Le mani di lei serrate sulla schiena di lui trasmettono tutta la forza di un sentimento incontenibile.
Un abbraccio travolgente, quello della passione. I lunghi capelli di lei accarezzano la schiena dell'amato, come a proseguire quella presa stretta e al contempo dolce, rendendo questa unione ancora più avvolgente. La circolarità del gesto dell'abbraccio è inoltre enfatizzata dalle pieghe delle vesti, in un vortice travolgente che carica ancora di più la composizione.






Eppure in Canonica, gli amanti non si guardano negli occhi, ma sono guancia a guancia, ancora presenti e protesi verso il mondo.

C'è invece l'abbraccio fatale, quello che porta all'oblio. L'abbraccio in cui due anime si perdono, come in quest'opera di Renata Domagalska, dove il mondo è escluso alla percezione delle emozioni provate dai due. Un abbraccio che brucia la pelle, che inghiotte, consuma, ma di cui non puoi fare a meno.




C'è l'abbraccio di due anime: quando anche la pelle cade e le anime possono innalzarsi, fuse in un unico pensiero, in un unico battito, in un unico respiro.







Infine, c'è l'abbraccio della morte: un istante silenzioso ma decisivo..






[...]
E sognerai
che non occorre affatto respirare,
che il silenzio senza respiro
è una musica passabile,
sei piccolo come una scintilla
e ti spegni al ritmo di quella.


Una morte solo così. Hai sentito
più dolore tenendo in mano una rosa
e provato maggior sgomento
per un petalo sul pavimento.


Un mondo solo così. Solo così
vivere. E morire solo quel tanto.
E tutto il resto eccolo qui - 
è come Bach suonato sul bicchiere
per un istante.


W.Szymborska
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