sabato 17 novembre 2012

Picasso a Palazzo Reale

Il bacio (dettaglio), 1925
Welcome back Milano!
Tornare a Milano dopo averci vissuto fa sempre piacere, anche se fa altrettanto piacere avere conferma di non volerci vivere stabilmente. Essendo a Milano, ho approfittato per andare a Palazzo Reale a vedere l'esposizione dedicata a Picasso e curata da Anne Baldassarri, direttrice del Museo Nazionale Picasso di Parigi.
La mostra è stata pubblicizzata come un grande evento, riproposto nella città meneghina per la terza volta, dopo le mostre del 1953 e del 2001. Proprio in memoria della grande esposizione del '53, le prime sale riportano una ricca sezione documentaria (anche se ammetto che la mia brama di vedere le opere mi ha portato a pensare "carte, carte, carte..").
Il Massacro in Corea accoglie i visitatori all’ingresso della Sala delle Cariatidi.

Massacro in Corea, 1951.
Goya, 3 maggio 1808, 1814.

I fucili spianati rievocano quelli delle truppe napoleoniche puntati sulla popolazione spagnola nel 3 maggio 1808 di Goya. In entrambi i dipinti i fucilieri sono senza volto (nel caso di Goya addirittura sono di spalle), ritratti come una massa anonima, rigida, pronta ad agire freddamente. Al contrario le vittime sono caratterizzate da espressioni del viso terrorizzate, da movimenti scomposti che li portano a riunirsi in gruppo per farsi forza a vicenda. Ma la cosa che più mi ha colpito sono le differenti reazioni delle vittime: le donne, mature, ormai appesantite dalle tristi esperienze di guerra già vissute, hanno il viso trasfigurato dal dolore...forse per sé stesse, sapendo a cosa vanno incontro, o forse per quei bambini, così piccoli e innocenti. Il ragazzino, dall'aria sorpresa e spaesata, corre verso la ragazza, che rimane ferma, inerme. Come se entrambi, già ragazzi ma non ancora adulti, comprendessero di trovarsi in una situazione pericolosa ma senza esser veramente consapevoli. Il bimbo, a terra, rappresenta l'infanzia, l'ingenuità e l'innocenza più pura: in mezzo alle grida di spavento, si accuccia, pacifico, a raccogliere dei fiori. Ed è per lui la mia emozione più profonda.
Si sente la mancanza di Guernica, anche se la sala riporta un'ampia didascalia sull'opera e la documentazione fotografica che la ritrae nelle varie fasi di definizione.

Picasso, Celestina, 1904.


Di fronte alla Celestina, meraviglioso esempio del periodo blu, non si può che rimanere senza fiato. 
Celestina, orba da un occhio, ha lo sguardo interdetto: le sopracciglio arcuato, la bocca inarcata verso il basso.






Picasso, Testa di donna (Fernande),1909
Congelata e rapita nel suo mare turchese è immortale, eppure così umana e mortale nella sua espressione e cecità.




Percorrendo le fasi di Picasso, rappresentate da più di 250 opere esposte, è possibile ripercorrere le più influenti correnti del Novecento.  Non mi meraviglia, quindi, rivedere nelle ciocche dei capelli della Testa di donna, lo stesso movimento dei muscoli tesi nel movimento in Boccioni

E così la testa di donna (Madeleine) del 1905 ricorda invece gli inafferrabili disegni di Odilon Redon, mentre la donna che implora il cielo mi riporta alla mente le giunoniche donne sironiane.


Picasso, Il bacio, 1925



Nel bacio, i corpi sono scomposti eppure riconoscibili. Ciò che dovrebbe rappresentare un abbraccio è in realtà una lotta di forme e colori in contrasto.
A sinistra l'uomo stringe la sua compagna imperioso, quasi assorbendola completamente, mentre lei si lascia rapire dal bacio, piegando il capo all'indietro. 
Nel suo intricato intreccio di corpi, è un'opera primordiale eppure sensuale, carica di passione travolgente.

Nei giocatori di calcio sulla spiaggia del 1928 (di cui purtroppo non ho un'immagine da offrirvi), il corpo del giocatore è deforme, dagli arti spropositatamente lunghi. Eppure la sua ombra, proiettata sulla cabina, è diversa, è proporzionata e armoniosa. Quasi fosse una metafora dell'odierna società dell'apparenza, la sua immagine riflessa è umana mentre ciò che è realmente è mostruoso. 



Picasso, La Supplicante, 1937



Con i suoi occhi a forma di lacrima e le sue braccia alzate in preghiera, la Supplicante ci guarda e implora. La bocca spalancata, con i denti in mostra, ricorda quasi una dentatura equina, accentuando il senso di disagio dello spettatore di fronte al suo grido.
Quello della supplicante è un dolore estremo, ma anche carico di fede; del resto la supplica nasce solo di fronte alla speranza (fede) di ottenere un aiuto, una risposta favorevole. Forse è questa sensazione che mi porta a leggere la veste nera e il velo, come un richiamo alle vesti da monaca; quasi volesse innalzare il dolore e la disperazione a sentimenti sacri.





Picasso, Femmina che piange VII, 1937



Nella femmina che piange torna la forma a lacrima per gli occhi, ma questa volta il dolore non è più sacro ma tragico. Le lacrime, come chiodi, tracciano rigide dei solchi sulla guancia. La fronte è rigonfia in una tremenda protuberanza: il dolore è come un tumore che le scoppia dalla mente (o forse dal pensiero che la porta a soffrire?).
La bocca, nuovamente spalancata nel suo grido di sofferenza, rende ancora più tragica l'espressione del volto.




Picasso, Ecce homo. D'Apres a Rembrandt, 1970






Verso la fine della sua vita, Picasso ha creato una ripresa della sua carriera in alcune incisioni, un sipario oltre il quale ritornano molti dei suoi attori, come in questa Ecce homo. D'Apres a Rembrandt
Come se ciò che è lasciato in luce (e quindi sul palco) fosse l'apparenza: pulita, chiara, quasi guidata da una legge superiore (ricollegabile forse anche alle mani e al viso che sporgono in alto sul sipario, come a guidare dei burattini).
Nell'ombra è il caos. Spettatori e donne che si disperano, corpi confusi sulle gallerie. Altrettanto dietro le quinte del teatro è il fermento: linee in movimento pronte a divenire bianco ordine sulla scena.



Nel complesso, una mostra ben allestita e completa per quel che riguarda il percorso cronologico dell'artista. Alcune opere eccezionalmente emozionanti, anche se rimango soddisfatta a metà.


"Io miro alla somiglianza più profonda,
più reale del reale
che raggiunga il surreale"
P. Picasso



Fino al 6 gennaio 2013.

ORARI:
lunedì, martedì e mercoledì: 8.30-19.30
giovedì, venerdì, sabato e domenica: 9.30-23.30

INGRESSO: intero € 9, ridotto € 7,50, ridotto speciale € 4,50

Maggiori info sul sito mostrapicasso.



lunedì 5 novembre 2012

Ascoltarsi e saper ascoltare

Essere l'angelo custode di sé stessi. Ascoltarsi e dedicarsi del tempo...magari ascoltandosi un bel concerto di classica. Questo è quello che ho fatto stasera, approfittando dell'opportunità del concerto al Teatro Novelli di Rimini, "offerto alla città per volere e in memoria di Minnie Torsani" (ovvero GRATIS) in apertura della Sagra Musicale Malatestiana.
Come secondo programma, il Trio di Parma (ovverosia nello specifico Alberto Miodini al pianoforte, Ivan Rabaglia al violino e Enrico Bronzi al violoncello) avrebbe eseguito l'Arciduca, op.97 di Beethoven e il trio per violino, violoncello e pianoforte, op.65 di Dvořák  Entro a teatro e come al solito noto l'evidente mancanza di giovani (meglio spendere 10 euro per un aperitivo, che godere di un concerto gratis vero?).
Lo ammetto, la prima parte su Beethoven non mi ha entusiasmato. Bravissimi tutti e tre i musicisti, ma era proprio il componimento in sé a non entusiasmarmi. Ad eccezione di questo movimento, meno arzigogolato e intriso di note, ma più caldo e carezzevole (ovviamente nel video gli interpreti sono altri, ma non potevo fare altrimenti).



In ogni caso, anche se gli interpreti fossero esattamente gli stessi, non renderebbe mai completamente l'idea del concerto dal vivo: senza poter vedere i musicisti soffrire e contorcersi sui loro strumenti. L'interprete del trio che più mi ha colpito in questa prima parte, è stato il violoncellista Bronzi: incapace di restar fermo sulla sua seggiola, ogni nota vibrava in lui prima ancora che nel suo strumento. E l'espressione del suo viso, quasi esasperata, era in grado di prenderti e trascinarti nella sua musica.
Il pubblico affianco a me comincia a dare segni di cedimento alla seconda parte del concerto; forse l'orario tardo o forse ormai stanchi.. Esistono sempre delle piccole avversità nel trovarsi in mezzo a un pubblico di pensionati (e non sempre presi dalla musica), ma almeno apprezzo la loro curiosità e volontà di provare ad avvicinarsi a questo tipo di concerto, oltretutto offerto dalla città (e quindi GRATIS, ci tengo a sottolinearlo).
La parte dedicata a Dvořák è stata a mio parere sublime.




Uscire da teatro sentendo il vento che si alza fra gli alberi, le foglie che volano ovunque e l'odore del mare in burrasca...bé, cosa vi siete persi miei bei riminesi pantofolai.








Qualche riga di invettiva per i giovani riminesi:

Dove eravate?! Perché il vostro acume, la vostra intelligenza e sensibilità viene fuori solo per creare frasi d'effetto su facebook?! Concedetemi di generalizzare visto che ultimamente, anche alle mostre, ho visto solo turisti e gruppi di pensionati.. Giovani ciechi, sordi e senza cuore...
Concedetemi il linguaggio estremamente diretto: che gente del cazzo. Oh. L'ho scritto.



lunedì 29 ottobre 2012

I volti sono lingue senza alfabeto..


Leonardo da Vinci, La Gioconda




I volti sono ricordi che deridono il passato
i volti sono una pozione chimica nella quale circolano le domande
i volti sono lingue senza alfabeto
i volti sono lettere che restano chiuse.


(da Il velo dei volti, in Non ho peccato abbastanza, 
della poetessa irachena Amal al-Juburi)






Si parla di Volto: nella sua duplice valenza di soggetto e oggetto di sguardi (nel suo duplice aspetto di Vultus, cioè lato visibile, e Visus, cioè capacità di vedere, sguardo). Il volto è la frontiera tra ciò che sentiamo "dentro", tra la nostra interiorità, e l'esterno; a volte nasconde i nostri veri pensieri a chi ci osserva, rendendoli enigmatici e incomprensibili al suo sguardo, a volte invece li esprime con forza, e a volte persino li tradisce.

.."I volti sono lingue senza alfabeto"..

Nessuno ci insegna a leggere il volto altrui, eppure è una dote innata: certo, più o meno accentuata e sensibile, ma appartiene a ciascuno.

Messerschmidt Franz Xaver, scultore austriaco settecentesco, lavorò a una serie di "teste di carattere" (charakterköpfe). Si tratta di quarantanove sculture di teste maschili, tutte raffiguranti un uomo pelato di mezza età, nelle più svariate smorfie.
Prendiamo per esempio due di queste opere.

 




Credo sia abbastanza automatico comprendere quale delle due teste rappresenti un uomo di cattivo umore.
Tuttavia questi busti, seppur efficaci per comprendere l'innata capacità di lettura delle espressioni facciali, non possono rendere l'unicità dell'aspetto di ciascun volto. L’impostazione rigorosamente frontale e con le due parti del volto sempre estremamente simmetriche (anche nei dettagli più minuziosi), creano un effetto di stilizzazione che raffredda in modo straniante la vitalità della tensione espressiva. L’apparente paradosso di questa serie è infatti la compresenza di un esasperato iperrealismo e di una inquietante de-soggettivazione, il contrasto tra un’attenta mimesi dei tratti somatici e la mancanza di quella espressività che caratterizza l’unicità di una fisionomia.

Nella realtà invece, a volte i visi mantengono qualcosa di arcano, di incomprensibile, e spesso è proprio questo il loro fascino, come per la Monna Lisa di Da Vinci.



.."I volti sono lettere che restano chiuse"..

Pedro Madeira Pinto, Além mar

Prendiamo invece questo volto, ritratto da Pedro Madeira.
Le rughe marcano profondamente il suo volto, raccontando la sua storia, riflettendo il suo vissuto; sembrano scolpite eppure non induriscono i suoi lineamenti bensì li addolciscono (anche se ha le labbra serrate in una smorfia corrucciata). Il corpo è segnato dalla vita e lo sguardo ha ormai perso l'innocenza dell'infanzia. Ciò nonostante è uno sguardo sereno, placido, che assume nuovo colore e nuove immagini: è il riflesso dell'anima, delle sue speranze, dei suoi sogni per il futuro. Possiamo appena scorgere la profondità di questa donna, accarezzare la sua storia in punta di polpastrelli senza afferrarla mai del tutto.
Il viso non mostra solo chi siamo, ma anche quello che ci è successo, ciò che abbiamo vissuto.




in memoria della Città delle donne senza volto (Satkhira, il villaggio-ghetto del Bangladesh)





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