lunedì 11 maggio 2015

UNA TIEPIDA ROSA DI FUOCO


Palazzo dei Diamanti, Ferrara dal 19 aprile al 19 luglio 2015



Barcellona, "la Rosa di Fuoco". All'inizio del Novecento la città freme di vitalità politica, sociale e culturale: nuovi modelli di vita e nuovo benessere; il parallelo spagnolo della Parigi bohémienne di fine secolo.

Ramón Casas, La garrota, 1894

La mostra a Palazzo Diamanti ripercorre questo denso momento storico, a partire nelle prime sale dall'architettura di Gaudì e il clima dell'Art Decò, passando per la bellezza e l'eleganza della Belle Epoque per poi volgere lo sguardo alla Settimana Tragica del 1909, ad una nuova attenzione per i miserabili ed emarginati. 
Grafica, arredi, gioielli, ceramiche e sculture offrono al visitatore preziose chiavi di lettura verso il  medesimo fuoco di rinnovamento che ripercorre tutte le arti, nessuna esclusa.

Eppure questa Rosa di Fuoco mi è parsa tiepida, forse perché una volta giunta all'ultima sala e capito di essere alla conclusione della mostra proprio quando mi stava coinvolgendo davvero...che amarezza! Mi è parso un sogno interrotto a metà.


Ad ogni modo, è stato piacevole per me incontrare ancora il giovane Picasso, scivolare nel languore quotidiano di una borghesia un po annoiata ed appassionarmi di fronte ai miserabili.

Santiago Rusiñol, Morfina, 1894


Una delle opere che mi ha meravigliato è stata La Morfina di Santiago Rusiñol.

La testa preme sul cuscino, la spallina scivola e il vestito si abbandona molle.
Con maestria e sensibilità, Rusiñol  si insinua nella solitudine di questa donna e ne delinea il profilo teso e contratto del volto. Salta subito agli occhi la mano che stringe con le ultime forze le lenzuola, proprio un attimo prima che la morfina faccia effetto. 
Eppure non c'è dolore feroce e neppure il benessere è già arrivato: è un istante fermo nel tempo, rapito tra i movimenti rallentati nel silenzio.

il morfinomane ha una felicità che nessuno gli può togliere: la capacità di trascorrere la vita in completa solitudine. E la solitudine significa pensieri importanti e profondi, significa contemplazione, serenità, saggezza…

(M. BULGAKOV,“Morfina” in Appunti di un giovane medico).



A fianco compare il Sogno di Miquel Blay. Ancora una donna, gli occhi socchiusi ma questa volta il corpo è immobile, trasportato nella serenità di un sogno chissà dove.
Sembra quasi, se si trattiene il fiato in completo silenzio, di sentire il profumo della ragazza e il respiro lento del sonno.




Ritorna Ramon Casas con l'opera Dopo il ballo a richiamare l'attenzione ai nuovi stili di vita del primo Novecento. 
Il pittore ritrae la pesantezza del corpo della donna dopo un'intensa serata di ballo. Rientrata a casa, l'ultimo sforzo è quello di giungere al divano, fiacca, scomposta. Eppure la composizione cromatica e l'abito richiamano un mondo elegante e posato, anche nel momento dell'abbandono a fine serata.

L'affianca qualche richiamo alla Femme Fatale, emblema della legame eterno tra desiderio e colpa, paradigma del decadentismo.

L'entusiasmo e la leggerezza di questi anni si scontra inevitabilmente con i fatti drammatici della Settimana Tragica (26 luglio – 2 agosto 1909): le sommosse, nate spontaneamente, erano carenti dal punto di vista organizzativo e vennero facilmente messe a tacere nel sangue. A questo triste momento storico è dedicato un reportage fotografico di Adolf Mas sui luoghi protagonisti delle rivolte, tra cui spicca una gigantografia dei tetti di Barcellona sovrastate dalle nuvole di fumo dei roghi.


Si giunge infine ai migranti, ai miserabili e agli emarginati.
Nell'acquaforte Il pasto frugale, Picasso ritrae un uomo cieco e una donna: figure scheletriche, volti affilati, guancia infossate, dita lunghe e sottili. Lui sfiora il braccio di lei e le tiene un braccio attorno alla spalla ma non c'è vero contatto: i due non si guardano. La donna sembra piuttosto rivolgersi verso di noi, tuttavia resta assorta in pensieri dai toni sommessi, mentre si sorregge il mento. Anche il tavolo è scarno: una bottiglia, un piatto vuoto.. La tovaglia spiegazzata richiama le vesti "svuotate" di queste due figure pelle e ossa. Un'immagine spoglia che tuttavia dona dignità a questo pasto frugale.

Ci si avvicina lentamente alle atmosfere del periodo blu di Picasso, colore scelto sia per la sua forza espressiva che per la matrice patetica e compassionevole con cui ritrae poveri ed emarginati. Il blu è il colore e l'emozione dominante dell'ultima sala e sommessamente ci accompagna fino all'uscita..
Forse per questo ho avuto la percezione di qualcosa di incompiuto, di irrisolto?


Orari di apertura

Aperto tutti i giorni:
Dal 19 aprile al 31 maggio: 9.00-19.00
Dal 1 giugno al 19 luglio: 10.00-20.00
Aperto anche 2 giugno

Biglietto d'ingresso


Intero: euro 11,00 
Ridotto: euro 9,00 (dai 6 ai 18 anni, over 65, studenti universitari, categorie convenzionate)

Per altre tariffe e informazioni: www.palazzodeidiamanti.it



venerdì 30 gennaio 2015

MARC CHAGALL. UNA RETROSPETTIVA 1908 - 1985



La mostra "Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985", entra nell'ultima settimana di apertura e il Comune, vista la grande affluenza, ha deciso di prolungare gli orari di visita. Da mercoledì 28 gennaio e fino a domenica 1 febbraio, ultimo giorno di apertura, la mostra sarà visitabile tutti i giorni fino a mezzanotte, con ultimo ingresso alle ore 22.30.

Avevamo già parlato di Chagall nel post dedicato alla mostra CHAGALL, IL SOGNO E IL SEGNO- dalla Bibbia a Vervè poco più di un anno fa. Quello che viene proposto a Milano è una vera e propria retrospettiva (oltre 220 opere) che accompagna il visitatore lungo tutto il percorso artistico di Marc Chagall, accostando opere delle collezioni private degli eredi a prestiti dai maggiori musei del mondo (il MoMa, il Metropolitan Museum di New York, la National Gallery di Washington, il Museo Nazionale Russo di S.Pietroburgo, il Centre Pompidou).


"Scorrono gli anni, volano i mesi e i giorni.
Ti svegli una mattina e pare che sia finito un altro anno,
ma è soltanto un altro giorno"

chagall, nascita, 1911
Chagall, La nascita, 1911.

La pittura di Chagall racconta visioni, rappresentazioni di un mondo magico, ispirato dalla cultura popolare russa e dalla religione ebraica. I suoi quadri nascono da una combinazione perfetta di sogno e immaginazione, con una pittura fresca, morbida e sinuosa. Tra i soggetti ricorrenti figura il mistero della nascita, come in quest'opera del 1911. La tela è divisa in due da una diagonale: in basso i colori chiari richiamano la nascita, in alto il nero ci porta in un'atmosfera più cupa. Pare che quest'opera riprenda l'episodio autobiografico del pittore, il quale nacque senza respirare e si riprese solo dopo esser stato immerso in una vasca d'acqua gelida. La cesta sulla destra e il bambino in mano alla figura in ombra richiamerebbero proprio questo episodio. La madre è sdraiata, come una futura Olympia, e qualche linea rosso sangue ne segna il profilo. Il rosso emerge nella parte inferiore del dipinto anche nelle linee trasversali sul pavimento, richiamando l'idea del sacrificio insito nella nascita.

Le prime opere di Marc Chagall sono dedicate alla città natale. Trattano temi tipici della pittura di genere e del folclore locale: feste di nozze, sagre, funerali ecc. I colori sono intensi e cupi, le atmosfere inquietanti.



Ebreo in rosa, 1915


Soggetto dell'opera proposta qui a destra è un viandante, seduto davanti al grande triangolo della casa di Vitebsk e con il mento incorniciato da una barba fiammeggiante. Il dipinto fa parte di una serie di ritratti di vecchi ebrei realizzati da Chagall tra il 1914 e il 1916. Il rosa e il rosso esaltano l'oro, sullo sfondo, di un arco semicircolare con delle iscrizioni riprese dalla Torah. Il soggetto rappresenta un vagabondo trasformato dal pennello di Chagall in un sapiente dal quale scaturisce la potenza dello spirito profetico. alcuni dettagli richiamano la Bibbia: il calamaio che simboleggia le Sacre Scritture, l'albero fiorito in terra sterile che ricorda il bastone fiorito di Aronne e le lettere che si vedono scritte in cielo. Il diverso colore dei guanti fa riferimento alla cultura yiddish: il verde simboleggia lo stato di malattia, e quindi segna lo stato d'animo del personaggio, immerso nella solitudine e nei pensieri opprimenti, mentre la mano bianca, simbolo della luce divina. si richiama alla speranza che proviene da Dio.





Iniziato nel 1923 all'epoca della diffuzione del nazismo in Germania, la "Caduta dell'angelo" fu completata solo nel 1947, mentre l’artista attraversava una fase di totale angoscia a causa dell’invasione della Russia da parte dell’esercito tedesco, Nel dipinto è evidente la percezione di Chagall dell’addensamento delle nubi minacciose che incombono sul popolo ebraico.
Caduta dell'angelo, 1923-1933-1947

I colori si scuriscono, le ombre aumentano e compaiono le effigi tragiche del Cristo crocifisso (seppur coperto da un drappo ebraico), della Madonna, accostata a quello dell’ebreo in fuga e del rabbino che cerca di salvare i rotoli della Torah. La figura del messaggero angelico si è trasformata in un’immagine demoniaca: il precipitare della creatura ribelle alla volontà di Dio. Una visione apocalittica del cosmo accentuata dal disordine che impedisce di distinguere le cose del mondo; la presenza simultanea del sole e della luna stanno a significare anch’esse l’eclissi del tempo. La pendola che accompagna l'angelo nella sua caduta è una potente metafora della fine del mondo. Notiamo le immancabili case rurali della natìa Vitebsk, che rimandano ai ricordi dell’infanzia dell’artista. Una delle più superbe allegorie della tragedia ebraica in cui tutti i motivi portanti dell’iconografia chagalliana concorrono a simboleggiare il precipizio in cui il mondo del male trancia l’umanità, come se il pittore stesso cerchi una spiegazione alla guerra in questa sua oscura visione. L’animale color giallo oro che suona il violino, bestia innocente illuminata dall’oro della trascendenza, simboleggia la consolazione per l’umanità devastata. La superficie è completamente ridipinta, con masse compatte in cui si mescolano i toni scuri, a indicare l’impossibilità di penetrare le tenebre del caos universale.

Resurrezione in riva la fiume, 1947


Nel 1947, quando Chagall esegue questo dipinto, le immagini delle torture subite dagli ebrei nei campi di concentramento erano già state rese pubbliche. Qui l'artista riprende il motivo familiare del Cristo in croce per offrire una testimonianza della distruzione programmata del popolo ebraico, dato che, come scrive l'artista in una lettera al poeta Joseph Opatoshu, «ogni uomo dovrebbe provare che cosa significa essere un ebreo con il sacco in spalla». La sua è una denuncia agli orrori della guerra, resa con forza espressiva rara. In alto, illuminata dal riverbero di un incendio, la città di Vitebsk sembra consumarsi sulle sponde della Dvina. La scena di distruzione è sovrastata da un Cristo in croce, simbolo universale di una umanità sofferente e testimone della desolazione in cui sono gettate le popolazioni strappate alla città natale, che indossa il tallit, scialle della preghiera. Nel centro violaceo un groviglio di fantomatiche forme umane, uomini e donne sovrapposti, preceduti da un angelo con una bracciata di fiori al lato del quale appare un'ombra chiara, simile a un'anima che pare sollevarsi e tendere la mano verso quella del Cristo. In basso a sinistra una madre con il bambino in braccio guarda speranzosa al cielo. 








CHAGALL. UNA RETROSPETTIVA 1908 - 1985
17 Settembre 2014 – 1 Febbraio 2015
Milano, Palazzo Reale

ORARIO APERTURA
Lunedì, martedì e mercoledì dalle 9.30 alle 19.30
Giovedì, Venerdì, Sabato dalle 9.30 alle 22.30
Domenica dalle 9.30 alle 21.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Per maggiori informazioni: http://www.mostrachagall.it/info/

giovedì 11 dicembre 2014

L'ARTE DEL FUMO E IL FUMO NELL'ARTE (pt. 2)


Nel fumo


Quante volte t'ho atteso alla stazione
nel freddo, nella nebbia. Passeggiavo
tossicchiando, comprando giornali innominabili,
fumando Giuba poi soppresse dal ministro
dei tabacchi, il balordo!
Forse un treno sbagliato, un doppione oppure una
sottrazione. Scrutavo le carriole
dei facchini se mai ci fosse dentro
il tuo bagaglio, e tu dietro, in ritardo.
poi apparivi, ultima. È un ricordo
tra tanti altri. Nel sogno mi perseguita.

Eugenio Montale




James Dean in Gioventù bruciata, 1955.


Spesso il fumo viene associato alle sigarette, alla memoria di un ricordo svanito che riaffiora, a un'addio drammatico e uggioso (basti pensare a tutti i film usciti negli anni '40 e '50, primo fra tutti Casablanca) o all'alone di mistero di un eroe ribelle nel cinema. 
A proposito di ribellione e di fumo, c'è chi ha fatto del fumo di marijuana la sua particolare provocatoria tecnica. Si tratta dell'artista brasiliano Fernando de La Roque che realizza le sue tele attraverso maschere pre-preparate, ben consapevole che non è il soggetto in sé ad essere rilevante ma la tecnica pittorica. 



Fernando de La Roque

Fernando de La Roque all'opera















Ma c'è chi del fumo ha fatto più che una provocazione, ma una vera tecnica.
Uno di questi è Jim Dingilian, newyorkese, con un master in fotografia presso il Rochester Institute of Technology. Per creare le sue opere, l'artista raccoglie le bottiglie di liquore vuote di varie dimensioni, forma e colore. Dingilian vede ogni bottiglia scartata come un “artefatto del consumismo, piacere o terrore”. Le scene dettagliate di questi luoghi si possono trovare “imbottigliate” nelle sue opere, richiamano auto bruciate sotto i ponti o altri scenari, luoghi di desolazione ai margini delle periferie. L’artista per generare le immagini accende una candela, indirizza la fiamma e il fumo all’interno della bottiglia per rivestire le sue pareti con uno strato di fuliggine.



Jim Dingilian crea le scene, grazie a una mano incredibilmente ferma. Spazzola lentamente la fuliggine con la punta di un pennello legato a un bastoncino che manovra sospeso al centro della bottiglia. Utilizzando differenti pressioni, e l’incredibile controllo del polso, l’artista rimuove strati di fuliggine, quella che rimane sul vetro forma le straordinarie immagini.

Jim Dingilian

Infine c'è chi "dipinge" veramente dei quadri con il fumo: il suo nome è  Michael Fennel. 
Negli ultimi 16 anni ha sviluppato una tecnica particolare (che mantiene in parte segreta) per manipolare il fumo su pannelli di legno, creando incredibili opere.
Sul suo sito, l’artista spiega che “il fumo come strumento di disegno ha un ovvio limite: è molto volatile e non puoi disegnare una linea. Ma forse più grave è che puoi facilmente dare fuoco alla carta e bruciare tutto lo studio”.
Le opere hanno un aspetto etereo e volatile e, per quanto siano in bianco e nero, si fanno apprezzare proprio per i colori: il nero infatti è “luminoso”, e ha una profondità che al confronto il carboncino può risultare piatto e pallido.

Michael Fennel all'opera






lunedì 24 novembre 2014

L'ARTE DEL FUMO E IL FUMO NELL'ARTE (pt 1)



Dopo la visione tanto attesa del film Coffee and cigarettes, il post sul fumo nell'arte è venuto spontaneo.


L’arte pittorica comincia ad interessarsi al fumo di tabacco dopo la scoperta dell’America (1492) quando iniziò, seppur tra alterne vicende, la sua irresistibile ascesa nella società occidentale del Vecchio Mondo. Le immagini di fumatori risalenti a quel periodo ritraggono per lo più vita domestica, occupazioni quotidiane oppure feste contadine, di solito completamente ubriachi, circondati da figure persino deformi. L’associazione fumo-miseria divenne automatica. Come in questo quadro di Hals, dove con rapide pennellate è reso un ambiente goliardico e probabilmente vizioso.

Adrian Brouwer, Fumatore, (1608-1638)

Frans Hals, Ragazzo con pipe donna che ride (1623-25) 





















Con la seconda metà del Settecento, invece, l’atto del fumare tabacco viene lentamente associato alla figura dell’eroe borghese e, contemporaneamente, alle figure di molti antieroi.

Elevazione e decadenza: chi fuma è l’artista, l’eroe, l’adulto che segnala, esibendo il sigaro la sigaretta la pipa, una distinzione sociale, morale o intellettuale. La figura del fumatore subisce, così, un’operazione di sublimazione: essa è trasfigurata, ingigantita, mitizzata.

Nella seconda metà dell’Ottocento, la pratica del fumo costituisce un elemento distintivo dell’immagine che l’artista decadente intende dare di sé. Pagine memorabili lo ritraggono nell’atto di consumare del tabacco, di pregiatissima provenienza, e di utilizzare per questo una serie di accessori, preziosi ed eleganti, che sottolineano una ricercatezza non fine a se stessa, esteriore e materiale, ma indicativa di una superiorità spirituale. Si tratta di una forma di auto-rappresentazione mediante la quale il dandy ribadisce la sua diversità rispetto alla società borghese massificata e alienata che ha posto al centro il capitale e ai margini l’arte, privata della sua aura sacrale e ridotta a merce di consumo. Fumare, lo si legge nel sonetto baudelairiano dedicato alla pipa, ha il potere incantatorio e fascinoso di alleviare il dolore: l’anima è come ammaliata dalla avviluppante «rete mobile e cilestrina» delle spiraliformi esalazioni del tabacco «in fiamme».


E. Manet, Ritratto di Mallarmé con Sigaro, (1876)




.
"Tutta l’anima è riassunta
quando lenta l’espiriamo
in tanti anelli di fumo
aboliti in altri anelli"
 Stéphane Mallarmé, Hommage, 1895
 



All’incanto però subentra il disincanto quando matura una consapevolezza nuova, lucida e amara: i miti si infrangono quando lo specchio rimanda l’immagine crudele di un morbo insidioso che proietta la sua ombra di morte, metafora perenne dello scorrere del tempo e della fugacità della vita. In questi istanti l’uomo può avvertire, nel suo sentirsi fragile e precario, il desiderio di rinascere.

Van Gogh, Teschio con sigaretta accesa, (1885/6)



..e se il fumo non fosse solo l'oggetto del quadro, ma materia pittorica per il quadro stesso?


lunedì 20 ottobre 2014

ESCHER - ROMA


Escher, Relatività (1953)



“Avevo percorso un labirinto, ma la nitida Città degl’Immortali m’impaurì e ripugnò. […] Nel palazzo che imperfettamente esplorai, l’architettura mancava di ogni fine. Abbondavano il corridoio senza sbocco, l’alta finestra irraggiungibile, la vistosa porta che s’apriva su una cella o su un pozzo, le incredibili scale rovesciate, coi gradini e la balaustra all’ingiù. Altre aereamente aderenti al fianco d’un muro monumentale, morivano senza giungere ad alcun luogo, dopo due o tre giri, nelle tenebre superiori delle cupole”.
 Borges, da L’immortale, racconto che apre L’aleph.



Prosegue a Roma, presso il meraviglioso Chiostro del Bramante, la mostra antologica dedicata a Maurits Cornelis Escher
Escher, mano con sfera riflettente

In Mano con sfera riflettente Escher compone quello che percepisce direttamente, vale a dire la sua mano, e quello che la sua vista non raggiungerebbe senza l'ausilio della sfera, vale a dire se stesso nella stanza deformata e ampliata: due mondi sono presenti contemporaneamente mentre la superficie sferica viene a coincidere con l'ambiente circostante innescando, all'interno della litografia, una dialettica tra ciò che sembra "reale" e ciò che invece non lo è poiché è un riflesso. La descrizione in terza persona che l'autore ci offre del suo autoritratto è a questo proposito significativa: "Sulla mano del disegnatore c'è una sfera riflettente. In questo specchio egli vede un'immagine molto più completa dell'ambiente circostante, di quella che avrebbe attraverso una visione diretta. Lo spazio totale che lo circonda - le quattro pareti, il pavimento e il soffitto della sua camera - viene infatti rappresentato, anche se distorto e compresso, in questo piccolo disco. La sua testa, o più precisamente, il punto fra i suoi occhi, si trova nel centro. In qualsiasi direzione si giri, egli rimane il punto centrale. L'ego è invariabilmente il centro del suo mondo" (M.C.Escher, Grafica e disegni, cit., p. 13). L'espediente di utilizzare una superficie riflettente non era certo nuovo al mondo dell'arte, basti pensare all'autoritratto di Parmigianino. 

Parmigianino, Autoritratto 1524








Escher, Belvedere (1958)











Nel 1958 Escher realizza la sua prima litografia dedicata alle costruzioni impossibili: BelvedereUn ragazzo ha in mano un cubo impossibile e osserva perplesso questo oggetto assurdo. Pur avendo in mano gli elementi che gli permettono di notare che qualcosa non va, pare non accorgersi del fatto che l'intero Belvedere è progettato su quella stessa struttura. Escher nel suo primo libro scrive a proposito di quest'opera: "in basso a sinistra giace un pezzo di carta su cui sono disegnati gli spigoli di un cubo. Due piccoli cerchi marcano le posizioni ove gli spigoli si intersecano. Quale spigolo è verso di noi e quale sullo sfondo? E' un mondo tridimensionale allo stesso tempo vicino e lontano, è una cosa impossibile e quindi non può essere illustrato. Tuttavia è del tutto possibile disegnare un oggetto che ci mostra una diversa realtà quando lo guardiamo dal di sopra o dal di sotto". Il cubo di cui parla Escher è noto con il nome di cubo di Necker.

La scala che porta al secondo piano dell'edificio inoltre è contemporaneamente all'interno e all'esterno di esso, cioè si tratta di una scala impossibile.

"siete davvero sicuri che un pavimento non possa essere anche un soffitto?" 

Escher, Cielo e acqua, 1938

In Cielo e acqua sfrutta pieni e vuoti. Il rombo è costruito su figure ambigue: anatre nere che, con una rapida inversione interpretativa all'altezza della linea mediana, si alternano a quattro pesci bianchi stilizzati. Le figure vanno definendosi sempre più salendo agli estremi del rombo.


Tassellazioni, poliedri, forma e logica dello spazio, autoreferenzialità. Sono questi i cardini dell’arte matematica di Escher che hanno ispirato scienziati e artisti successivi.
In tutte le opere non vi è tuttavia solo la fredda logica delle scienze esatte, ma mondi naturali con panorami, scorci, piante ed animali reali od immaginari intervengono ad arricchire i suoi lavori in un’ottica straordinariamente globale. Bellissime ad esempio le formiche che camminano sul Nastro di Möbius ma anche gli insetti che diventano tasselli per riempire una figura piana  sul foglio e poi “volare via” in una terza dimensione impossibile.
Escher,  Nastro di Möbius II (Formiche rosse)

Escher, Metamorphosis (dettaglio)















"Solo coloro che tentano l'assurdo raggiungeranno l'impossibile."



ESCHER
a cura di Marco Bussagli

20 Settembre 2014 – 22 Febbraio 2015
Roma, Chiostro del Bramante

ORARIO APERTURA
Tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00
Sabato e domenica dalle 10.00 alle 21.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)

INFO | T (+39) 06 916 508 451

LUNEDI' UNIVERSITARIO
Ingresso in mostra a € 5,00 (anzichè € 13,00) per tutti gli studenti universitari

lunedì 23 giugno 2014

Frida Kahlo - Si sbagliò la colomba

«Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho detto, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io»

Frida Kahlo, Autoritratto come Tihuana.





Quelle sopracciglia folte e lo sguardo severo: Frida Kahlo era già destinata a diventare un'icona.
Commovente il filmato in cui la si vede cedere alla dolcezza del suo profondo amore per Diego Rivera.
Ed è proprio Rivera, qui rappresentato come il terzo occhio della dea Kali: in "Autoritratto come Tehuana"  è al centro dei suoi pensieri. I fiori che Frida porta in capo diramano le loro radici e trasmettono un senso di fragilità, come la frattura di un calice di cristallo che non si spezza, ma rimane profondamente crepato.



La mostra comprende circa 167 opere tra dipinti e disegni, che documentano l’intera carriera artistica di Frida Kahlo, riunendo capolavori assoluti tra raccolte pubbliche e private, provenienti da Messico, Europa e Stati Uniti. Ottima nella seconda sala l'interazione con l'arte messicana, che ha fortemente influenzato la sua carriera sebbene fosse autodidatta. 




Frida e l'aborto
La sua esistenza è tristemente legata al terribile incidente avuto all’età di diciasette anni.   L’autobus su cui viaggiava si schiantò contro un tram e le conseguenze che riportò  furono disastrose. Varie fratture, tra cui quelle  alle vertebri lombari,  la costrinsero a dolorosi e molteplici interventi chirurgici,  a lunghe degenze in ospedale e ad una esasperante immobilità.
Presto manifestò doti artistiche dipingendo spesso se stessa. La sua produzione è composta soprattutto da autoritratti di piccolo formato dove raffigura  una donna sofferente nell’anima, nel fisico, ma che mostra sempre fierezza e voglia di vivere.

Un altro evento che la segnò profondamente fu l'aborto e l'inadeguatezza del suo corpo a portare a termine una gravidanza. In "Frida e l'aborto" il bambino è legato a Frida da un cordone ombelicale che sale come un rampicante lungo la gamba destra. In questo disegno si respira la vita come morte.

Frida a letto



In "Frida a letto" lei si ritrae tenendosi l'addome dal dolore. Una sola lacrima le solca il viso, mentre il cordone si dirama verso cinque elementi simbolici, tra i quali lo stesso bacino che le impedisce di diventare madre.

Autoritratto con collana di spine


In quest'opera, particolarmente struggente, Frida si autoritrae come un moderno Cristo: lo sguardo fisso e fermo, guarda dritto in fronte alla tragica realtà che sta vivendo e sembra non far trapelare alcuna emozione. Il Colibrì vivo è simbolo di fortuna ma anch'egli sembra quasi crocifisso e appeso senza più vita ormai, mentre la scimmia generalmente ricorda la futile bramosia dell'uomo.
Sul capo una stoffa è intrecciata riprendendo la forma di un otto orizzontale, simbolo dell'eternità e dell'infinito, mentre le farfalle simboleggiano l'amore: l'ennesimo richiamo all'amore eterno per Diego Rivera, nonostante i tradimenti e l'abbandono. L'opera si ispira infatti al "Winged Domino"  di Roland Penrose, opera dedicata alla separazione dalla moglie e in cui la collana di spine riferisce direttamente al cognome Pen-rose. 



Concludo con l'opera con cui si conclude la mostra: "Autoritratto con colomba". Il tratto incerto è indice dei suoi peggioramenti di salute eppure questo disegno mantiene ancora un forte spessore emotivo: la bocca è ammutolita, cancellata, inesistente. Niente più parole per una vita che le ha concesso poche gioie. La colomba è il cimbolo della sua anima smarrita e poggia ancora su intreccio di linee che ricorda il simbolo dell'eternità. I suoi occhi non guardano più con fierezza verso lo spettatore, ma guardano "oltre", si proiettano verso l'infinito.


Dal suo diario sappiamo che la colomba è legata a un'amara poesia.


Si sbagliò la colomba.
Si sbagliava.
Per andare al nord fuggì al sud.
Credette che il grano fosse acqua.
Si sbagliava.
Credette che il mare fosse il cielo;
e la notte, la mattina.
Si sbagliava.
Credette che  le stelle fossero rugiada;
e il calore neve.
Si sbagliava.
Credette che la tua gonna fosse la tua blusa
e il tuo cuore la sua casa.
Si sbagliava.
(Lei si addormentò sulla spiaggia.
Tu, sulla cima di un ramo)

Se equivocó la paloma, Rafael Alberti.



FRIDA KAHLO
a cura di Helga Prignitz-Poda
20 marzo - 31 agosto 2014


Biglietti
Intero € 12,00
Ridotto € 9,50


Informazioni, prenotazioni, visite guidate per singoli e gruppi
Tel. 06 39967500 

http://www.scuderiequirinale.it/categorie/mostra-frida-kahlo



martedì 22 aprile 2014

Munch e la mostra anti-urlo di Restellini





Attraverso l’arte cerco di vedere chiaro nella mia relazione con il mondo, e se possibile aiutare anche chi osserva le mie opere a capirle, a guardarsi dentro.           E. M.



Per chi si trovasse a Genova, immancabile è la visita alla mostra presso il Palazzo Ducale dedicata ad Edvard Munch e curata da Marc Restellini (già direttore della Pinacothèque de Paris), in collaborazione con Arthemisia Group e 24 Ore Cultura.
Il percorso espositivo racconta l’evoluzione artistica di Munch attraverso ottanta opere, da quelle giovanili fino ai quadri della maturità.

"Io avverto un profondo senso di malessere, che non saprei descrivere a parole, ma che invece so benissimo disegnare", scriveva Munch.

Edvard Munch è stato definito il "pittore dell'angoscia", ma non so se l'angoscia sia più dentro alle sue opere o negli occhi di chi la osserva. Sicuramente la malattia e la morte sono state compagne fedeli di una vita difficile e ciò ha portato la sua personalità ad essere fortemente caratterizzata dalla sofferenza e dal conflitto. Era un uomo elegante in pubblico, ma percorso da una sensibilità straziante e nevrotica insolitamente poetica e non pittorica, che l’artista tentava di ammaestrare con l’alcol e l’ascesi artistico-pittorica.

La bambina malata

La litografia "La bambina malata" arriva come una morsa allo stomaco e toglie il fiato: lo sguardo assente, distratto, è ormai stanco e senza speranze. I capelli sono arruffati e scomposti sul cuscino; è molto tempo che la ragazza è a letto e non si alzerà molto presto.
Più che angosciante o straziante, quest'opera possiede l'eleganza e la pacatezza della malinconia mista a un vago sentore di rassegnazione.





Quanta bellezza e quanta profonda seduzione, invece, nella Madonna estatica e abbandonata ai suoi pensieri. Anche in quest'opera la morte ritorna nello sguardo cupo e incerto dell'embrione che osserva la Madonna-madre dal basso...

“Abbiamo sofferto la morte durante la nascita. Siamo lasciati con la più strana delle esperienze: la vera nascita, che è chiamata morte. Per cosa siamo nati?” (E. Munch)





Attrazione, 1896





"Attrazione": due sguardi e un unico pensiero, tradotto in questo fiume/strada che porta lontano, in un luogo e in un tempo imprecisato.
I volti sono abbozzati ad eccezione degli occhi raffigurati con due macchie nere, come due profondi buchi neri che inghiottono fino al profondo oscuro dell'anima dove sono nascosti segreti e pensieri.
I capelli di lei danzano mossi dal vento, guidati dallo scambio ipnotico degli sguardi verso di lui, come richiamati da un indomabile magnetismo.





Gelosia II, 1896


















In primo piano un uomo turbato, con lo sguardo perso nel vuoto. Sta nascendo in lui un pensiero conturbante che prende forma alle sue spalle: la gelosia lo porta a visualizzare un incontro. Lei, la donna amata, è nuda, seducente e ammiccante con la sua veste aperta a mostrare le sue forme. Un invito chiaro e malizioso per lui, un altro uomo.
Il timore di perdere l'amata si insinua in questa tela intitolata "Gelosia II".
Giovane donna in lacrime





"Giovane donna in lacrime":
Lascio che sia l'immagine a trasmettere il risflesso di dolcezza di questo sguardo triste e sconsolato. Il viso è abbassato e i capelli le scendono dolcemente sul corpo, delineando e accarezzando le sue forme.




"Bisogna che la carne prenda forma"





Purtroppo per me la mostra si conclude con alcune opere di Munch reinterpretate da Andy Warhol. Scrivo 'purtroppo' perché di fronte ad esse il mio struggimento legato alle emozioni per le opere di Munch si spegne rapidamente. Il pathos e la sofferenza che sento (e rifletto?) nelle opere dell'artista norvegese ricade in una tomba arida fatta di colori fluorescenti e immagini ripetute e svuotate di significato. Posso dare valore storico o provocatorio a Warhol eppure decisamente non riesco ad apprezzarlo. Influenzata dal mio astio personale per l'artista newyorkese, non riesco a fare a meno di pensare che questo confronto sia nato dalla necessità di aumentare il catalogo della mostra (vista l'effettiva difficoltà di reperire in prestito le opere di Munch)... Mah...





ORARI

Lun: 14.00-19.00
Mar-dom: 9.00-19.00


BIGLIETTI

Intero € 13,00
Ridotto € 11,00
Ridotto bambini (3/10 anni) € 5,00
Ridotto Gruppi € 10,00
(prenotazione obbligatoria min 15 max 25 persone)

Infoline e prevendita:

tel. +390109868057
biglietteria@palazzoducale.genova.it

Per informazioni più dettagliate, vi rimando direttamente al sito della mostra Edvard Munch.


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