mercoledì 25 luglio 2012

Quando la pittura si fa cinema: Aleksandr Petrov


Si tratta di uno dei vetrini di Aleksandr Petrov, regista e animatore russo, nonché autore del piccolo capolavoro dedicato a Il vecchio e il mare di Hemingway, che gli è valso l’oscar per il miglior cortometraggio animato ed il primo premio al prestigioso festival di animazione di Annecy. Non starò certo qui a raccontarvi la trama del filmato visto che molti conosceranno già la storia e che, per chi ancora non ne fosse a conoscenza, c'è l'intero universo del web da sfruttare per colmare la lacuna (o leggersi il libro, volendo!). 





Petrov ha realizzato questo stupendo cortometraggio animato, dipingendo con colori ad olio sul vetro, e dando così respiro e carne viva ai personaggi del racconto. La tecnica, estremamente complessa, prevede l’utilizzo di un sistema di pannelli di vetro di grandi dimensioni su cui utilizzare le dita per dipingere le immagini da animare, modificandole poi leggermente di fotogramma in fotogramma.




Si tratta di più di 29.000 fotogrammi realizzati nell’arco di due anni e mezzo per ottenere circa 20 minuti di animazione; per un minuto di film girato occorrono circa 1000 disegni. Ne risultano immagini fluide e morbide; allo spettatore rimane il piacere di contemplare i movimenti dei personaggi e i passaggi di luce e di colore. Ciò che più colpisce è comunque l'estrema bellezza delle immagini create: dinanzi allo sguardo dello spettatore scene intense sfumano una nell’altra quasi per magia, fondendosi in una composizione cinematografica di straordinaria bellezza.




Quando l'emozione si fa tocco in punta di dita e il tocco si fa immagine, poi l'immagine si fa filmato e il filmato torna emozione..
Non mi resta che lasciarvi direttamente al cortometraggio, sperando che anche voi sappiate farvi sfiorare dal suo romantico tocco..



martedì 3 luglio 2012

Le statue di marmo muoiono in bianco e non sempre del tutto.



Statua greca



Con l'aiuto degli uomini e di altri elementi
il tempo si è dato un gran da fare intorno a lei.
Dapprima l'ha privata del naso, poi dei genitali,
quindi delle dita di mani e piedi,
col passare degli anni di un braccio e poi dell'altro,
della coscia destra e di quella sinistra,
di dorso e fianchi, di testa e natiche,
e quei pezzi li riduceva in
calcinacci, ghiaia, sabbia.


Quando muore così qualcuno vivo,
molto sangue sgorga ad ogni colpo.



Le statue di marmo tuttavia muoiono in bianco
e non sempre del tutto.



Della statua in questione si è conservato il busto
ed è come un respiro trattenuto nello sforzo,
poiché adesso deve
attirare
a sé
tutta la grazia e la gravità
di quanto si è perduto.


E questo gli riesce,
questo ancora gli riesce,
riesce e affascina,
affascina e dura -


Anche il tempo qui merita una menzione di lode,
poiché ha smesso di lavorare
e ha lasciato qualcosa per dopo.

W. Szymborska






Un ringraziamento speciale al Museo Tattile Omero, che mi ha permesso questa incredibile esperienza tattile..

giovedì 28 giugno 2012

I funerali dell'anarchico Pinelli


Nella Sala delle 8 Colonne è in mostra il Funerale dell'anarchico Pinelli, ad opera di Enrico Baj. L'installazione è visibile gratuitamente nella sala anche detta delle Cariatidi, a Palazzo Reale a Milano, dal 21 giugno al 2 settembre 2012.

L'allestimento, avvenuto sotto la supervisione di Giorgio Marconi, riporta l'opera alla sua destinazione originale dove nel 1972 doveva essere esposta seppur, per "motivi tecnici", ciò non avvenne.
Tra il rame della ruggine e le poche statue delle Cariatidi sopravvissute ai bombardamenti della guerra, la sala si carica di pathos e tensione. La stanza è semibuia, umida e scrostata. L'impressione è quella di essere accolti in un limbo senza tempo. Le cariatidi, illuminate dal basso, sorvegliano l'opera come spiriti eterni e gli specchi, che si alternano ad esse, dilatano lo spazio aiutando a perdere la concezione del "qui e ora".
In fondo alla sala, come un'epifania, la grande opera illuminata.


I corpi sono realizzati con materiali poveri: corde, cinture di cuoio, bottoni, ingranaggi, lacrime pesanti come sassi. Una figlia si copre il volto per non vedere, l'altra tende le braccia per salvarlo, mentre la moglie Licia sembra essere fuggita dalla Guernica di Picasso per piangere con strazio l'addio al suo amato.



Pinelli non è staccato dal pannello di fondo per stare davanti insieme alle donne della sua famiglia, ma si trova al centro simbolico e fisico della scena retrostante. Grida talmente forte che la faccia si sdoppia, deformata dall’aria che riempie il palato.
Una serie infinita di mani giunge dall'altro, ma non è certo la mano della Provvidenza.
Eppure l'opera di Baj non offre risposte sul passato.

La notte successiva alla strage di Piazza Fontana la polizia fermò 84 sospetti, tra cui Pinelli, che venivano rilasciati man mano che il loro alibi veniva verificato. Tre giorni dopo, il 15 dicembre, Pinelli si trovava nel palazzo della questura, sottoposto ad interrogatorio da parte di Antonino Allegra e del commissario Luigi Calabresi, oltre che tre sottufficiali della polizia in forza all'Ufficio Politico, un agente, ed un ufficiale dei carabinieri, quando dalla finestra dell'ufficio dove stava avvenendo l'interrogatorio precipitò dal quarto piano in un’aiuola della questura. Fu portato all'ospedale Fatebenefratelli, ma ci arrivò già morto.

Per i più curiosi su questo oscuro momento della storia italiana, consiglio quanto meno il film  Romanzo di una strage, con la regia di Mario Tullio Giordana.


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