venerdì 15 giugno 2012

Tiziano restaurato in mostra ad Alba




Scopro oggi su Storie dell'Arte, l'articolo su Tiziano restaurato in mostra ad Alba.

Si tratta del magnifico notturno del Martirio di San Lorenzo.

Il quadro, il cui restauro è stato interamente finanziato da Banca d'Alba, rimarrà esposto presso la sede di Alba sino a fine anno. 

Gli orari in cui è possibile visitarlo, con ingresso libero, sono i seguenti: 

lunedì, giovedì e venerdì dalle 15 alle 18,30; 
sabato e domenica dalle 10,30 alle 12,30 e dalle 15 alle 19.

Ai più curiosi e interessati consiglio di scaricare il pdf della pubblicazione realizzata per l'occasione, nel quale troverete tutti i dettagli e alcuni splendidi particolari dell'opera.

lunedì 11 giugno 2012

Esref Armagan e la visione tattile


A volte uno sguardo parla, un profumo si assapora...e a volte una mano vede.
Mani e dita per percepire e vedere la realtà, per poi raffigurarla.




Questo è Esref Armagan, pittore turco: cieco sin dalla nascita, eppure dipinge attraverso il suo particolare modo di trasferire l'anima sulla punta delle dita per poi passarla al foglio, accarezzandolo coi colori.


Disegna con le mani e adopera soprattutto colori ad olio. Ha iniziato per gioco, da bambino, incidendo con un chiodo degli scatoloni che gli portava il padre al ritorno dal lavoro. Provando e giocando, ha elaborato un sistema per poter imparare cosa sono i colori, classificandoli e ordinandoli in modo che per lui fosse possibile usarli nel modo voluto, stenderli e ottenere un risultato verosimile rispetto alla realtà che lui percepiva sempre attraverso le mani e le dita.


Per cominciare, utilizza una stilo Braille con cui traccia i contorni poiché necessita di avere una percezione tattile del suo disegno, di sentirlo con il suo sguardo manuale. Per lavorare ha bisogno di tranquillità assoluta e, quando parte, è completamente dentro all'opera e al suo mondo.. Per questo, in una intervista, egli stesso ha dichiarato:


“Quando disegno il mare mi chiedo se non sia il caso di indossare un giubetto di salvataggio per non affogare”.

Quello che affascina, oltre alla capacità di disegnare, è l'estrema verosimiglianza nel rendere il chiaroscuro e la prospettiva, di cui (essendo cieco dalla nascita) non ha mai avuto esperienza...o per lo meno, non nel senso comunemente inteso.
Ciò lo ha reso (ahimé!) protagonista di uno studio della percezione umana, condotto dallo psicologo John Kennedy dell’università di Toronto, nonché di studi da parte del team neurologico dell'Università di Harvard. Per le loro analisi però, vi rimando al link di YOUng - libera informazione. Per quanto mi riguarda, comprendo la curiosità da parte della scienza, tuttavia mi intristisce vedere come un uomo che cerca di esprimersi, di vedere e far vedere quello che sente, non venga semplicemente ascoltatovissuto, ma immediatamente studiato come un caso clinico. Un po meno analisi e un po più capacità di meravigliarsi non farebbe male all'uomo contemporaneo..

La sua spiegazione, più pura e ingenua ma al contempo molto più umana:

“Non posso essere definito cieco, le mie dita vedono più lontano di tanti occhi!"


Vi lascio semplicemente a un video, in cui potete vederlo mentre dipinge:


giovedì 31 maggio 2012

In fondo al mar..



Se ci si inoltra nell'Oceano Atlantico nei pressi dell'isola di Grenada, nel sud dei Caraibi, si trova una meravigliosa sorpresa.





Underwatersculpture gallery è un progetto lanciato nel 2006 dallo scultore e istruttore subacqueo guyanese Jason de Caires Taylor. L’iniziativa, in continua evoluzione, ha lo scopo di celebrare la cultura caraibica e reinventare e proteggere una zona coralligena, decimata dalle recenti tempeste tropicali: le statue, infatti, realizzate in calcestruzzo e acciaio ed assicurate al substrato oceanico, generano un reef artificiale. Le loro strutture forniscono una base per la colonizzazione di coralli, alghe e spugne, così come riparo e protezione per tanti altri organismi; inoltre, attirando l'attenzione di sub e turisti su queste scogliere artificiali, le barriere naturali possono cogliere l'occasione per ripararsi e rigenerarsi.



La particolarità di queste opere consiste nell'essere studiate, progettate e realizzate per essere posizionate in acqua tenendo conto delle dimensioni (in mare tutto appare più grande del 25%), dei colori, dei giochi di luce e delle prospettive. Anche i fondali vengono scelti con cura: poco profondi, con sabbia bianca e acque cristalline, in modo che le opere possano essere apprezzate anche da barche con fondo trasparente o da sub amatoriali.

Una delle sue opere si chiama Evoluzione silenziosa e comprende circa 400 statue. Credo che possa essere ben compresa guardando queste piccole foto, prese direttamente dalla galleria online di Underwater.

Il mare e l'assenza dell'uomo suggeriscono il silenzio, mentre le opere diventano nutrimento per una nuova  vita. 



La statua scompare, tramuta, ma la sua scomparsa non è morte, ma nuova vita: la vita dei coralli.
Personalmente ci leggo due messaggi (in cui credo profondamente): l'ambiguità della morte e della vita e la capacità della natura di rigenerarsi e di rinascere.



Altre immagini sono reperibili nella galleria fotografica del MUSA (Museo Subacuatico de Arte).
Al suo progetto si è inoltre affiancato Colleen Flanigan e i due ora stanno progettando assieme una serie di statue volta a far salire il pH dell’acqua e permettere quindi ai coralli di attrarre i minerali che gli servono a costruire i loro esoscheletri (come scrive l'Atlantic). Su Il Post ho letto, inoltre, che il progetto è finanziato tramite Kickstarter, un sito internet per raccogliere microdonazioni.

lunedì 28 maggio 2012

Bramantino a Milano.


Qualche nota sulla mostra dedicata a Bramantino a Milano, in esposizione al Castello Sforzesco. La mostra, a cura di Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa e Marco Tanzi, intende dar visibilità all'artista attraverso un allestimento, in ordine cronologico, che riunisce le opere presenti nella città di Milano seppur disperse tra diverse sedi (può essere una doppia occasione per vedere le opere dell'artista presenti alla Pinacoteca Ambrosiana senza dover investire 10 euro per il biglietto..che assolutamente li vale, ma effettivamente non è poco per uno studente!).



Immancabile l'Argo (qui a sinistra), ai più sconosciuto poiché il grande affresco si trova in un locale della biblioteca Trivulziana.


All'interno della stessa sala troviamo il Compianto di Cristo morto proveniente dalla Pinacoteca Ambrosiana. Purtroppo non ho un'immagine dell'opera da mostrarvi, ma il volto della Vergine merita di soffermarsi qualche minuto. La sua bocca è dischiusa, il naso arricciato  e la fronte è corrugata e illuminata dal basso (per altro, ottima la posizione del faretto che riesce a mettere in risalto la capacità del pittore di riflettere sulle possibilità espressive della luce). Seppur consapevole del valore di quel sacrificio, sorge la madre che è in lei in quello sguardo sofferente, quasi a chiedersi il perché di quella triste fine per suo figlio. Un dettaglio straziante è la ciocca di capelli che si intravede scendere dolce fra le dita della Vergine, mentre sorregge la testa del figlio, così pallido e magro..





Sempre dalla Pinacoteca Ambrosiana, l'Adorazione del bambino.
Questa strana adorazione sembra quasi svelare la tragicità del destino che si prospetta per il bambino. Il piccolo Cristo, come un bambino qualsiasi, si ciuccia un dito con aria ingenua mentre i volti contriti e l'ambiente freddo e marmoreo accennano a un'inquietudine sottesa.
L'albero che si insinua a sinistra sullo sfondo, con i suoi rami secchi e vorticosi, contribuisce a rendere l'atmosfera quasi cimiteriale, piuttosto che restituire calore alla scena.



Molto intenso anche il Noli me tangere: affresco staccato del 1500 ca, viene dalle Civiche Raccolte di Arte Antica, presenti nella pinacoteca del castello stesso. Magnifico e algido il Cristo, mentre la Maddalena è colta nel bloccarsi dal tentativo di toccarlo, con uno sguardo devoto, malinconico seppur di piena accettazione.


Al piano superiore, nella Sala del Balla, l'esposizione prosegue con i 12 arazzi, raffiguranti i Mesi.

La mostra resta aperta fino al 25 settembre ad ingresso meravigliosamente GRATUITO, anche per offrire la possibilità ai milanesi di riavvicinarsi all'arte come bene COMUNE dei cittadini. Può essere un'occasione per sfruttare diversamente la propria pausa pranzo!


Per chi fosse interessato e volesse più informazioni sugli intenti dei curatori e sulle opere presenti, vi rimando ai link sopra postati; inoltre, il Giornale dell'Arte ha pubblicato un'intervista a Giovanni Agosti, curatore della mostra.

martedì 22 maggio 2012

Milano. 'Le rovine di Milano' di Giovanni Agosti | Mentelocale.it

Milano. 'Le rovine di Milano' di Giovanni Agosti | Mentelocale.it

Ci fossero più uomini come Giovanni Agosti nel campo della storia dell'arte.
Per adesso, credo che mi rifarò con la mostra da lui organizzata su Bramantino al Castello Sforzesco: mostra GRATUITA, perché chi ama l'arte sa che è un bene comune e vuole curarla, mostrarla e condividerla.

http://www.milanocastello.it/ita/mostre.html

lunedì 21 maggio 2012

Absinth


Jeanne Mammen, Frau mit Absintglass. 


"Apocalisse, ottavo capitolo. Si parla di assenzio. Assenzio è il nome della stella ardente nella visione di Giovanni, e adesso viene il bello: l'arbusto d'assenzio in russo si dice Černobyl'nik. Anche il resto in qualche modo concorda. Ecco l'ambivalenza della luce, dell' âge de lumière, del fuoco prometeico - la torcia che reca prima luce e poi morte, l'infocato reattore-stella cadente. Ecco i molti che per causa sua muoiono, centomila vittime delle radiazioni solo in Bielorussia. Ecco le sorgenti contaminate in un terzo delle terre a sud. Ecco l'amaro, l'assenzio, e questo è l'inquietante della storia, che tanto piace ai russi: è tutto un gioco di parole oggettivo, non inventato, se mai può essercene uno simile. Il verbo era prima dell'azione, l'immagine prima dell'evento. Giovanni è una visione, Černobyl una sciagura, ma insieme rappresentano la parabola dell'assenzio"
Wolfgang Büscher, Berlino-Mosca. Un viaggio a piedi, Voland, 2005.

La parabola dell'assenzio apre questo nuovo post dedicato alla Fata Verde. Chi non conosce la storia di questa bevanda, polline per i bohémien in cerca di oblio poi proibito come pericoloso veleno che annebbiava le menti, può dare una spolverata su questa pagina di stampa alternativa, dedicata al libro di Alex Panigada sulla storia di questo liquore.

Liscio
Una sorta di rituale iniziatico accompagna la mescita della bevanda, che viene servita lasciando scorrere un po di liquore nel fondo di un calice di forma svasata. Subito dopo viene appoggiato al bordo del calice un cucchiaino forato che sorregge una zolletta di zucchero su cui si lascia colare lentamente dell’acqua fresca per diluirlo, addolcendolo.
Flambè o bohemiènne


Alla francese
Le ore scorrono mute e silenziose in compagnia di un bicchiere dove è stato versato l’infuso, mentre in breve tempo un leggero e gradevole senso di stordimento, di lontananza dalla realtà si impadronisce del bevitore, incapace di liberarsi dal suo abbraccio mortale.





Il tema del bevitore d'assenzio viene affrontato da molteplici pittori e scrittori, spesso legato al tentativo di leggere ed esprimere lo sguardo assente del bevitore.



Degas, L'assenzio, 1876, Museé d'Orsay.
Nella tela di Degas, ad esempio, la scena si svolge all'interno di un caffè, luogo deputato agli incontri alla moda. Eppure il pittore ci mostra una donna e un uomo, seduti l'uno a fianco all'altro ma chiusi nel loro isolamento silenzioso. Ciò che colpisce è lo suo sguardo stanco della donna, perso nel vuoto, i suoi lineamenti sfatti e la sua figura abbandonata sullo schienale nell'opprimente clima dell'ambiente circostante. L'uomo è seduto al suo fianco ma non ha contatto con la donna; la sua figura sfuma lentamente nello sfondo, quasi fosse più parte dell'arredamento che uno dei soggetti del quadro. Il vero soggetto e il vero compagno della donna è il calice di assenzio, posto proprio di fronte a lei. In primo piano, lo spazio vuoto e il tavolino in scorcio con una bottiglia rovesciata, danno ancor maggiore enfasi all'estraniamento dei due.


Picasso, Bevitrice d'assenzio, 1901,
The State Hermitage Museum
.






Ben diversa è la bevitrice di Picasso. Nonostante l'occhio semi dischiuso, sintomo evidente dello stato alterato della bevitrice, l'espressione del suo sguardo e la posa delineano comunque una figura più assorta e concentrata. Ha lunghe dita con cui si stringe entro se stessa, in un raccoglimento nervoso e forte; lo sguardo vola oltre, quasi senza accorgersi del bicchiere di fronte a sé. Sta viaggiando seduta, persa nei suoi pensieri, seria con i suoi lineamenti decisi e la bocca serrata; non è assente come nell'abbandono della donna nel quadro precedente. 

Picasso proporrà diverse tele incentrate su questo tema. Voglio qui accennare solo a un'altra dello stesso, a distanza di un anno, per mostrare le infinite possibilità di interpretazione del tema.

In questo caso, la donna ha gli occhi chiusi, il viso scarno ed è accucciata nel suo spesso manto. La tela è dominata dai toni del blu e del grigio-argento, toni freddi che affiancati al gesto di chiusura del corpo e all'assenza di qualsiasi dettaglio al di fuori della donna e del suo bicchiere vuoto, accentuano il senso di freddo e tristezza per la sua solitudine senza orizzonti.


Esparbés,  Le buveur d'absinthe  



Ben diversa è la resa del soggetto nel quadro di Jean d'Esparbés. Qui il bevitore è colto nello slancio del bere e non più nei successivi istanti. I capelli al vento e la mano destra scomposta rendono la foga del gesto. I colori confusi e mescolati creano un caotico vortice cromatico in cui la realtà si dilata e scompare, sotto l'effetto dello stordimento dato dal liquore.


L. Mednyanszky, absinth drinker, c. 1898.
Hungarian National Gallery.

La solitudine, una tensione visionaria, la foga e la volontà di estraniarsi dalla realtà e infine..
il delirio.

Mednyanszky riesce a rapire quel brivido di follia, dovuto al vaneggiamento per l'eccessiva ebbrezza, in questo sguardo sgranato, quasi spaventoso. Ha il viso sfigurato dall'ubriachezza e il corpo che lentamente si lascia andare spostando tutto il peso in avanti sul tavolo.

Le dicerie sul “principio attivo” che portava a pazzia e delirium tremens furono gli espedienti per metterlo al bando. L’assenzio era bevuto tutti i giorni, prima di rientrare a casa dopo una giornata di lavoro, tra le 5 e le 7 pomeridiane, nell’ora dell’aperitivo, che aveva preso il nome di heure verte (l’ora verde), proprio perché l’aperitivo in questione era l’assenzio.





domenica 13 maggio 2012

Evasioni mentali

Un omaggio a Enrico Ferrarini, a Bruce Chatwin.



Enrico Ferrarini, EvasionGypsum, 40 x 28 x 16 cm, 2008.


Di ritorno dall'Africa, rimase amaramente deluso nello scoprire di non essere né africano né europeo. Ben presto si rese conto di essere libero, libero di comporre quel che voleva. Una massima sufi dice: "La libertà è assenza di scelta".
B. Chatwin, Che ci faccio qui?_Kevin  Volans.

martedì 8 maggio 2012

Seung Mo Park, tra luce e fili metallici


"La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte"
Louis-Ferdinand Céline



Seung Mo Park è un artista coreano che crea dei ritratti con reti metalliche. Come io stessa ho appreso grazie all'articolo su Collater.al:
"Ogni opera inizia con una fotografia proiettata cui l’artista sovrappone strati di rete e fil di ferro. Lavorando quindi per sottrazione, Park ritaglia lentamente porzioni di rete, in modo da far apparire il ritratto con ombre e sfumature. Ogni piano o strato che forma l’immagine finale è posto a qualche centimetro di distanza dall’altro, dando così ai ritratti una certa profondità e tridimensionalità".






Non c'è respiro fra i serrati fili metallici, eppure il soggetto nasce liberandosi fra le fitte maglie delle reti, in un profondo gioco di ombre e luci, di pieni e vuoti. All'ombra tutto tace, poi giunge la luce dal profondo e il soggetto può offrirsi allo sguardo.



Nel video successivo, a partire dal minuto 2, potete vedere direttamente come realizza le sue opere.

lunedì 30 aprile 2012

Wildt. L'anima e le forme da Michelangelo a Klimt.



Sono stata a questa mostra dedicata ad Adolfo Wildt un paio di giorni fa. Le premesse erano interessanti: "genio dimenticato del Novecento italiano", "un caso unico in questo suo essere in ogni istante tutto e senza luogo". Sicuramente va riconosciuta all'artista una incredibile eccellenza tecnica, sia nella lavorazione che nella scelta dei marmi, e particolarmente interessante è la parte della mostra dedicata all'Atelier della scultura, in cui si possono ammirare i materiali e bozzetti che, passaggio per passaggio, illustrano le fasi del lavoro.


La prima sala si apre subito con la "Maschera del dolore (autoritratto) del 1909.
L'opera trasuda la disperazione delle antiche maschere per le tragedie greche. I muscoli, contratti in una smorfia quasi crudele, propongono un volto dallo sguardo cavo e dalla fronte aggrottata sotto il peso del dolore vissuto personalmente negli ultimi tre anni. Lo sfondo dorato, patinato, riporta il nome dell'artista e tre croci (simbolo dei tre difficili anni trascorsi). Sembra quasi la celebrazione di un morto, dopo tante sofferenze..
L'opera è affiancata da due autoritratti a matita e carboncino. Confrontandole risaltano subito all'occhio gli elementi caratteristici di questo scultore: sono tutti volti dalle palpebre chiuse o cave, il volto è sempre leggermente piegato (quasi mai dritto e fiero, se non nei ritratti a lui commisionati), la bocca semi-aperta.. Volti quasi trasfigurati a maschere grottesche, dove l'inclinazione del capo ne accresce l'impatto creando enormi solchi d'ombra in contrasto agli spigolosi lineamenti illuminati.

domenica 15 aprile 2012

Prendimi per mano

Ieri sono stata ad un concerto di pianoforte. Il programma dei brani scelti era ineccepibile eppure le aspettative sono state disilluse. Ho osservato le mani del pianista: sicure dei loro movimenti, eppur meccaniche: non provavano e non lasciavano provare emozione alcuna. 


Questa mattina mi è ritornata alla mente una vecchia citazione, purtroppo presa non so più da chi né da dove:


"Il tratto distintivo dell’uomo è la mano, strumento con cui compie tutte le sue malefatte"




Ho pensato quindi al valore delle mani nell'arte, alla loro capacità di esprimere dolcezza, intrepida forza o dolore estremo.

giovedì 5 aprile 2012

Alberto Sughi



Da pochi giorni ci ha lasciato Alberto Sughi. In genere non amo ricordare le persone solo dopo la loro morte, indi per cui non ho intenzione di scrivere un'elegia in sua memoria proprio ora.


Voglio però ricordare le sue opere, così delicate nella loro solitudine e nel loro spaesamento, eppur così forti nella loro capacità di turbare chi le osserva. Fu un autore spietato di eroi del quotidiano in tutta la loro normalità: nella noia, nel disagio, nella solitudine, nella sensualità. Nelle sue tele si percepisce la complessità del quotidiano e dell'emozioni più cupe dell'uomo contemporaneo, eppur egli riesce a dipingerle senza dare un giudizio, come solo un attento osservatore può fare.. In alcune sue figure scarne e sfigurate, volti senza lineamenti nè confini, ho spesso rivisto la forza crudele delle opere di Bacon (e sono stata ben lieta nel vedere che c'è stato chi ha già cercato di mostrarne le affinità: Manfredi Pomar).



Egli stesso disse: "Il lavoro del pittore non finisce col suo quadro: finisce negli occhi di chi lo guarda".

Fatevi guidare dalle sue opere, di cui potete trovare una breve carrellata nella galleria di Repubblica.
Mentre sul sito ufficiale di Alberto Sughi trovate l'intero processo di nascita di una delle sue tele, "La fine dell'estate (Gl'indifferenti)": dal primo slancio alle modifiche, ai ripensamenti. Vi assicuro che è molto interessante poter vedere come può evolvere un'opera.




giovedì 29 marzo 2012

Gustav Klimt, disegni intorno al Fregio di Beethoven


In occasione del 150° compleanno di Gustav Klimt, la provincia di Milano gli ha dedicato questa splendida mostra allo Spazio Oberdan (zona Porta Venezia): Gustav Klimt, disegni intorno al Fregio di Beethoven (è aperta fino al 6 maggio, quindi affrettatevi).
Dopo una prima stanza introduttiva, dedicata ai manifesti della Secessione Viennese e alla rivista Ver Sacrum, legata al movimento, si entra subito nel pieno della mostra con la riproduzione in scala reale del Fregio di Beethoven. L’opera, che occupa ben tre pareti, è resa ancora più imponente dalla Nona Sinfonia di Beethoven riprodotta in sottofondo all’interno della sala. L’allestimento del fregio è concepito secondo l’idea di Klinger per la sua grande scultura, raffigurante appunto Beethoven: l’artista visto come salvatore e liberatore dell’umanità afflitta.
Purtroppo manca la prima parte con la Debole Umanità sofferente che prega in ginocchio il Cavaliere armato (emblema della virtù), il quale, accompagnato da Orgoglio e Compassione, acconsentirà a farsi carico dell’impresa.
Le tre grandi pareti presenti sono dominate ciascuna da un tono cromatico diverso: la prima colori cupi e scuri dovendo raffigurare i vizi e le difficoltà dell’uomo; la seconda è dominata dal bianco, a far da sfondo alle buone intenzioni e agli aneliti; infine, la terza è dominata dall’oro, forse a memoria della vittoria del cavaliere, forse ad emblema dell’eternità.


La prima parete colpisce in tutta la sua oscura brutalità: la pazzia si fa largo a forza nell’angolo a sinistra, raffigurata come una vecchia dal viso scheletrico e dai seni decadenti, con gli occhi argentei e vuoti. Tristissima è la terza Gorgone, che alza la gamba quasi a chiudersi nelle sue stesse sofferenze. Nell’insieme si percepisce caos e perdizione, enfatizzati dall’ampio spazio decorativo (circa metà parete) dedicato a un turbinio vertiginoso e a linee spigolose; vortici squamati come serpenti che soffocano lo spettatore, non lasciando un solo centimetro di sollievo.

Abbandonata e sola fra queste spirali, troviamo la raffigurazione di Dolore Struggente: una donnna ossuta e dalla pelle decadente, ranicchiata su se stessa. Pesano i lunghi capelli neri e gli angosciosi veli neri trasparenti; leggeri forse, ma per lei così opprimenti. La sua fragile figura assume ancora più risalto nel suo abbandono al centro del trambusto di quelle oscure presenze; sola, mentre le altre figure cercano di farsi spazio, ammucchiate come sono nella prima metà della parete. Appesantita, intrappolata tra le desolanti spire, è oltretutto sovrastata da pungenti linee color ghiaccio che la premono verso il basso. Proprio a metà tela, centrale eppur in basso, quasi a non destare attenzione, l’emblema della più grande paura dell’uomo: un teschio, la morte.


Nella seconda parete prevade il bianco candore, mentre in alto scorrono le volontà: figure di donne soavi, leggere, morbide e dagli occhi socchiusi. Eppure anche la volontà più pura si scontra con le difficoltà: così queste leggiadre figure finiscono per ammucchiarsi, scontrandosi verso un invisibile muro. Sotto di loro, una figura di donna con una lira in mano, è la raffigurazione della Poesia: a testa china, ripiegata passivamente su se stessa e con gli occhi chiusi, attende il cavaliere perché l’anelito alla felicità possa placarsi con l’unione dei due.



Il Fregio prosegue con le arti, che con un moto ondoso ma equilibrato si innalzano verso l’alto per poi allungare il braccio a sinistra tendendo la mano al Coro degli angeli del Paradiso: un coro ordinato, immobile, sospeso in aria. I volti degli angeli sono rivolti verso l’alto, così come i palmi delle mani, che contengono fiori.

Infine abbiamo il lungo abbraccio, esaltato da un’esplosione dorata di sottofondo, con cui il Cavaliere si unisce alla Poesia. Le linee che prima si erano fatte morbide e leggere, ora tornano forti e marcate a delineare il muscoloso corpo maschile di schiena.
Probabilmente non avrei dato troppa attenzione a questo abbraccio, non fosse per la lunga chiacchierata che ho avuto il piacere di fare con un signore proprio all’interno della mostra. C’era qualcosa in quell’abbraccio che non mi emozionava e grazie a lui ho capito. In quell’abbraccio all’apparenza protettivo, percepivo il fastidio che prova un bambino nei confronti di una madre troppo invadente. L’uomo, interamente di schiena, forse protegge la poesia, ma al contempo l’annulla, la soffoca; quasi non ci accorgeremmo di lei se non fosse per quelle braccia bianche lanciate attorno al collo di lui.
Un abbraccio molto più intenso, invece, l’ho ritrovato in uno dei disegni esposti nelle due sale successive. Forse non più intenso ma più umile, più sincero. Il piccolo studio di nudo rappresenta una donna incinta e un uomo. Qui il rapporto non è sbilanciato: entrambi si abbracciano e sorreggono a vicenda. L’uomo, dal corpo forte e ben delineato, china la testa sulla donna con profondo rispetto e consapevole della responsabilità comune nei confronti della nuova vita in arrivo. Il disegno della donna incinta verrà tradotto poi nella splendida ed elegante figura di Speranza, ma dell’uomo che la sorregge e del profondo legame tra i due non c’è più traccia. A volte le committenze posso fare grossi pasticci..
Un altro disegno su cui voglio scrivere due righe (nonostante purtroppo non abbia alcuna immagine da mostrarvi) riprende due amiche. Anche queste sono abbracciate, l’una seduta a fianco all’altra. La figura centrale è ben delineata mentre l’amica al suo fianco è appena abbozzata. C’è stato chi, in sala, ha interpretato questa presenza/assenza come qualcosa di onirico (probabilmente influenzato da i disegni precedenti, che raffiguravano appunto delle donne addormentate). Personalmente, ho visto l’allegoria dell’amicizia, quella più pura e senza secondi fini; quel sentimento profondo che ti lega e ti rende sempre presente affianco all’amico, anche nell’assenza (quando non puoi esserlo fisicamente).

mercoledì 21 marzo 2012

"Da Vermeer a Kandinsky", mostra a Castel Sismondo, Rimini.



Proprio ieri sono stata alla mostra organizzata da Linea d’ombra al Castel Sismondo a Rimini (visitabile fino al 3 giugno 2012). La mostra ‘Da Vermeer a Kandinsky’ ha l’ambizioso obiettivo di rappresentare mediante le opere il percorso artistico cha va dal Quattrocento al Novecento, che siano emblema della pittura nelle varie nazioni e nelle varie regioni d’Italia. Le aspirazioni sono alte e l’obiettivo è con difficoltà raggiunto: lo spazio a disposizione e il numero limitato di opere (relativamente all’ampio arco di tempo in esame) rende poco chiaro il percorso.
I testi sulle pareti (molti ripresi dal catalogo, ma non solo), in compenso, accompagnano con chiarezza e semplicità il visitatore lungo la mostra, compensando il limite del percorso..



L’immagine scelta per rappresentare la mostra è la Vergine e il Bambino con San Girolamo e san Nicola da Tolentino (1523-24) di Lorenzo Lotto. Colpisce già al primo sguardo il sapiente uso dei colori: il morbido sfumato dei tessuti e la forza dei colori saturi, in particolare del drappo verde appeso alle spalle delle figure e il rosso e il blu delle vesti della madonna. Al contempo però è delicato nelle aureole e nella luce dorata che protende dal Cristo, così come nel velo della Madonna, talmente leggero da essere quasi impercettibile. 












Commovente è la figura di San Girolamo, con il suo vecchio corpo ossuto e lo sguardo abbassato verso il crocefisso che tiene in mano. Piegato in avanti, con una mano sul cuore, la sua è una sofferenza profonda ma privata: gli occhi lucidi e una lacrima sincera, composta, pronta a rigargli il volto. Quella di San Girolamo, in quest’opera, è un’intima disperazione, riservata.






Ben diverse sono le lacrime di San Pietro nell’opera di Murillo (1650-55) nella sala successiva. Anch’egli piange, ma con lo sguardo rivolto al cielo, le mani incrociate e la bocca spalancata per chiedere perdono: il suo pianto è segno di una profonda preghiera.


Ancora diverse le lacrime del San Pietro penitente di Hendrick Ter Brugghen (1616). Le mani serrate e lo sguardo fermo che cerca risposta, il santo ha la fronte corrugata da un dolore intenso e vivo. Implora il perdono protendendosi in avanti, sino ad appoggiarsi al tavolo: la sua è sempre una preghiera, ma stanca, disperata. Alle pareti appese le chiavi, simbolo del santo.

A questo punto però farei un salto indietro, al Gentiluomo con flauto del Savoldo (1525). Questa volta il tema non è più sacro, ma siamo di fronte a un ritratto. La sala della mostra, in cui l'opera si trova, è impostata per far comprendere l’influenza di Tiziano nel rinnovare la ritrattistica con l’inserimento nei suoi soggetti della “segreta forza dell’animo”.  Il gentiluomo è raffigurato dal Savoldo in una stanza, circondato di libri e spartiti. Purtroppo il vetro messo a protezione dell’opera ne penalizza la visione, creando un velo polveroso tra chi osserva e l’opera stessa. Ciò che riesce comunque a colpire è lo sguardo vitreo del gentiluomo, leggermente adombrato dal cappello: è uno sguardo che penetra ma non si fa penetrare. Emerge una grande delicatezza, in un profondo silenzio.

Di Jacopo da Bassano è il Trasporto di Cristo (di cui ho trovato soltanto questa riproduzione in bianco e nero purtroppo). Il corpo elegante, seppur pesante, del Cristo morto si contrappone allo sforzo di Nicomede e Giuseppe d’Arimatea e ai gesti concitati delle Marie che tentano di sorreggere la Vergine. La Madonna è ormai svenuta, a terra, anche se ha ancora la fronte corrugata dal tentativo di trattenere il dolore di fronte al corpo freddo del figlio. Sulla destra, in lontananza, si scorge il Golgota, con le tre croci ancora alte. La drammaticità del momento è espressa dalla contrapposizione fra il movimento concitato delle figure in primo piano, in opposizione alla natura imponente e ferma, anche di fronte alla morte del figlio di Dio. Tutta la metà superiore della tela è un inno alla natura, minacciosa e solenne, con i suoi alti alberi e il cielo coperto.




Un’altra grande opera che non posso fare a meno di citare è il Trittico del 1944 di Bacon, nella seconda versione appartenente alla Tate di Londra (1988). 




















Bacon mi uccide: la forza dei suoi corpi trasfigurati che urlano nello spazio dilatato di queste grandi tele vuote…è straziante. Come sottolinea Fausto Lorenzi  nel catalogo (e come ripreso nel testo sulla parete affianco all’opera): “per lui c’era solo il corpo, oltre quello il nulla in cui andare alla deriva”. Il profondo rosso sangue dello sfondo non dà tregua, mentre i corpi delle Erinni, piegati, contorti, mostrano le loro bocche urlanti, digrignando i denti. La forza perturbante dei corpi si scontra con la lineare fermezza dei piedistalli, che ricordano gli antichi palchi dei freakshow. L’intera opera è frutto di un’amara meditazione sulla morte: l’agitarsi grottesco della bestia umana in questo vuoto angosciante e il grigio cenere degli incarnati, ricordano tristemente che ogni affanno dell’uomo è vano e che in fondo ognuno quando muore è solo..

lunedì 19 marzo 2012

Scandalo negli abissi, di L.F. Céline


Una prima lettura notturna, tutta d'un fiato, di questo libretto mi aveva lasciata interdetta. Non dico insoddisfatta, tuttavia incerta, non particolarmente esaltata. Nettuno e Venere, litigi coniugali, il mare in tempesta, pesci ovunque. Mah.. 
Poi al mattino faccio colazione e mi ritrovo il libricino proprio sotto gli occhi. Lo riapro, riguardo le illustrazioni di Tadini e le immagini riaffiorano alla mente ancora così fresche. 
Un libro squisitamente umano sui limiti dell'uomo.

Milioni di artisti da tempo immemore tentano di afferrare per un istante la squisita bellezza celestiale di Venere, dea dell'amore. E invece Céline la ridipinge come una donna qualunque, per di più malamente sfiorita. Se l'autore non dichiarasse che è il 1500° anniversario del suo matrimonio con Nettuno forse non ci accorgeremmo nemmeno che si sta parlando ancora di una dea, creatura immortale, tutta presa com'è dal tentativo di sfuggire al tempo con cremine e cotolette di razze per la carnagione e bagni nel latte di balena e..povera Venere! Convinta di guadagnarsi stima e ammirazione, mentre Nettuno ormai distante tenta di sentirsi ancora giovane e potente circondandosi di giovani sirenette. Del resto, chi può recriminarlo con una moglie del genere? E Venere ancora più astiosa e vendicativa. 
E il misero Nettuno, accondiscendente nei confronti del crudele uomo anche quando stermina i suoi sudditi. Malinconico di fronte ad un corteo di madri foche con i loro piccoli a brandelli ma senza comunque avere la fermezza di opporsi. Una reazione l'avrà, ma solo quando lo toccheranno veramente sul vivo. Per la piccola Pryntyl perderà anche l'orgoglio personale, per poi ritrovare la sua furia di dio del mare e vendicarsi delle nefandezze degli uomini; queste bestie di terra che erano riusciti a corrompere persino la fresca bellezza e l'innocenza della sua Pryntyl.. 
Tutti i vizi e le debolezze dell'essere umano sfilano sotto i tuoi occhi mentre leggi, tra le righe di quest'opera. 
Ho completamente cambiato idea: un libro tutt'altro che scontato.

giovedì 8 marzo 2012

'Scrivere un curriculum' di Wislawa Szymborska

Scrivere un curriculum
da "Vista con granello di sabbia"




Che cos'e' necessario?
E' necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si e' vissuto
e' bene che il curriculum sia breve.
E' d'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e malcerti ricordi in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di piu' chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che, ma senza perche'.
Onorificenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani, gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa, che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l'orecchio in vista.
E' la sua forma che conta, non cio' che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.



Sto per laurearmi in Storia dell'Arte e come tanti, in Italia e non solo, vivo l'amarezza di dover lottare per un futuro.
Questo blog è il simbolo della mio amore per l'arte e la cultura. Non so se potrò fare della mia passione un mestiere ma continuerò senz'altro a sostenerla e diffonderla..
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